Giovanna Castiglioni non è solo la custode dell’eredità di un padre del design come Achille Castiglioni, ma anche una narratrice appassionata del suo pensiero progettuale. Con il suo lavoro alla Fondazione Castiglioni, trasforma il racconto del design in un’esperienza coinvolgente, fatta di curiosità, aneddoti e insegnamenti senza tempo. In questa intervista, ci accompagna dietro le quinte della vita e del lavoro di uno dei più grandi maestri del design italiano, rivelando il valore dell’ironia, della semplicità e dell’ingegno che hanno reso immortali le sue creazioni.

DT – La Fondazione Castiglioni rappresenta un archivio vivente dell’opera di suo padre, Achille. Quali sono le principali attività della Fondazione per preservare e diffondere la sua eredità?

GC – Dal 2002, subito dopo la sua scomparsa, è iniziato un enorme lavoro di archivio con la storica collaboratrice dello studio, Antonella Gornati, a cui si è aggiunta successivamente Noemi Ceriani. Questo lavoro prosegue costantemente, dapprima come museo dal 2006 e poi, dal 2011, come fondazione, senza sostanziali cambiamenti.
Per valorizzare e rendere accessibili materiali inediti, organizziamo mostre temporanee annuali, che ci consentono di approfondire l’archivio e digitalizzare contenuti di valore storico. Ogni anno viene scelto un tema specifico – attualmente, ad esempio, è dedicato ai ristoranti, abbiamo lavorato sui gesti, mentre a maggio di quest’anno inaugureremo una mostra sul gioco.
Parallelamente, la Fondazione mantiene viva l’eredità di Achille Castiglioni attraverso la riedizione di oggetti in collaborazione con aziende storiche e nuove realtà imprenditoriali. Con Flos, Alessi, Zanotta e altre aziende portiamo avanti un lavoro sinergico per riproporre in modo attuale il design di Achille Castiglioni, senza relegarlo a un semplice catalogo. Recentemente abbiamo sviluppato un set di matite con Egoundesign e, quest’anno, lanceremo una linea di nuovi rubinetti in collaborazione con Mamoli. L’obiettivo è dare continuità all’opera di Castiglioni, con un approccio innovativo e dinamico.

DT – Achille Castiglioni ha sempre lavorato con l’obiettivo di creare design funzionale e accessibile. Come vede l’evoluzione di questi principi nel design contemporaneo?

GC – La Fondazione si occupa di organizzare visite guidate e di diffondere il metodo Castiglioni attraverso conferenze in diverse parti del mondo. Personalmente, mi impegno a portare avanti questo lavoro con grande passione, cercando di trasmettere questi valori e questo approccio progettuale ai futuri designer che si interfacciano con noi.
Ritengo che i progettisti di oggi possano trarre ispirazione da questo metodo sia visitando lo studio, sia approfondendo le opere di Castiglioni, sia attraverso un racconto che continua a evolversi nel tempo. Il suo approccio, infatti, resta straordinariamente attuale: pur evitando di esprimere elogi personali, riconosco in Achille Castiglioni un progettista senza tempo, sempre innovativo e moderno.
Un esempio significativo di questa atemporalità emerge quando, durante le conferenze, chiedo agli studenti di ipotizzare l’anno di progettazione di alcuni oggetti iconici: spesso attribuiscono creazioni degli anni ’60 o ’70 a decenni molto più recenti, a dimostrazione della straordinaria contemporaneità del suo lavoro.

Photo credits Paolo Pizzini

DT – La sede storica della Fondazione in Piazza Castello è oggetto di questioni legate alla proprietà immobiliare. Quali sono i vostri piani per affrontare questa situazione e garantire la continuità delle attività?

GC – La questione della sede dello studio è un tema in continua evoluzione e particolarmente importante. Attualmente, il proprietario dell’immobile ha rinnovato il contratto di locazione, consentendoci di rimanere nello spazio di Piazza Castello 27 ancora per alcuni anni. Mio padre, fin dall’apertura dello studio nel 1962, scelse di non acquistare l’immobile ma di pagare un affitto, e noi abbiamo deciso di proseguire su questa strada. Tuttavia, è inevitabile riflettere sul futuro e sul passaggio di consegne, poiché né io né mio fratello siamo eterni.
Dobbiamo quindi immaginare un nuovo spazio che possa raccogliere e trasmettere l’eredità di Achille Castiglioni anche al di fuori dell’attuale sede. Nella mia immaginazione un’istituzione come il Politecnico di Milano potrebbe rappresentare una collocazione adeguata, così come qualsiasi altro luogo che abbia l’interesse e la volontà di continuare a raccontare questa storia. Non si tratta semplicemente di conservare oggetti o ricostruire ambienti, ma di mantenere viva la figura del designer attraverso il racconto e l’esperienza.
Un museo, infatti, non deve limitarsi a esporre, ma deve coinvolgere il pubblico, offrire un’esperienza che permetta di comprendere il pensiero progettuale dietro gli oggetti. L’obiettivo non è creare una dimensione commemorativa statica, ma trasmettere il senso di un design pensato per migliorare la quotidianità con intelligenza e ironia. In questa direzione si muove anche la prossima mostra dedicata al tema del gioco, che avrà come titolo “Non prendiamoci troppo sul serio”. Un messaggio che rappresenta perfettamente lo spirito di Achille Castiglioni: un approccio serio alla progettazione, ma sempre accompagnato da leggerezza e curiosità.

DT – C’è un ricordo particolare che ha di suo padre nel suo lavoro di designer? Ci può raccontare un aneddoto personale che ha segnato la sua visione del design?

GC – Ricordo con particolare emozione un viaggio in Brasile, l’ultimo fatto insieme a mio padre. L’occasione era una sua conferenza a San Paolo, ma in realtà rappresentò per me molto di più. Mio padre, con grande generosità, volle unire il suo impegno professionale alla mia passione di allora: la geologia. Così, oltre alla conferenza, organizzò una visita a Ouro Preto nello stato del Minas Gerais, presso importanti siti minerari, sapendo quanto mi interessassero dato che ero iscritta alla facoltà di Geologia.
Quel viaggio fu significativo non solo per il tempo trascorso insieme, ma anche perché, inconsapevolmente, segnò il mio futuro. Durante la conferenza lo affiancai come assistente, un ruolo che avevo già ricoperto in passato, ma che in quel momento ebbe per me un valore particolare. Oggi, ripensandoci, mi rendo conto di come quell’esperienza abbia anticipato il percorso che avrei intrapreso in seguito: salire su un palco per raccontare e trasmettere il suo metodo progettuale.
Recentemente, guardando una fotografia scattata durante quel viaggio, ho avuto un momento di riflessione. L’ho vista molte volte, ma solo ora ho realizzato il significato profondo di quell’episodio e di come mio padre, con la sua sensibilità, abbia saputo coniugare i suoi impegni con la volontà di condividere momenti preziosi con me.
Credo che sia importante restituire un’immagine autentica di lui, non solo come grande maestro del design, ma anche come padre e uomo generoso. Condividere questi ricordi permette di avvicinarlo ancora di più a chi lo ascolta, rendendo il suo insegnamento vivo e attuale. In fondo, il suo approccio progettuale si basava sulla curiosità e sull’attenzione agli altri, valori che oggi cerco di trasmettere a mia volta.

DT – Qual è il suo obiettivo personale come Vicepresidente della Fondazione? Ci sono progetti specifici a cui tiene particolarmente e che desidera realizzare nei prossimi anni?

GCIn occasione del prossimo Salone del Mobile, la Fondazione presenterà un’esposizione temporanea, concepita esclusivamente per la durata della Design Week. Questo evento sarà dedicato alle nuove riedizioni di alcuni progetti, sviluppate in collaborazione con diverse aziende. In particolare, quattro realtà produttive saranno protagoniste di questa iniziativa, con progetti inediti che verranno presentati presso lo studio.
Parallelamente, il progetto su cui concentro maggiormente la mia attenzione e passione è la mostra che verrà inaugurata a maggio e resterà aperta fino al Salone del Mobile 2026, intitolata ”Non prendiamoci troppo sul serio”. Questa esposizione offrirà un ritratto inedito di Achille Castiglioni, attraverso la sua straordinaria collezione di giochi, non progettati da lui, ma raccolti nel corso della sua vita.
La mostra metterà in relazione il concetto di gioco con il processo progettuale, evidenziando affinità e ispirazioni tra oggetti ludici e design. Verranno esposti, tra gli altri, riferimenti ai giochi di Bruno Munari, Enzo Mari, Charles e Ray Eames, insieme a una selezione di materiali provenienti dall’archivio e dalla raccolta privata di famiglia.
Sarà inoltre un’occasione speciale per me, poiché per la prima volta parteciperò attivamente alla curatela della mostra, un progetto che sento particolarmente vicino, essendo cresciuta circondata da questi giochi. Insieme con me Marco Marzini, storico progettista dello studio, avrà il compito di valorizzare al meglio la collezione, creando un’esperienza espositiva interattiva e coinvolgente, che porterà la Fondazione a trasformarsi in un vero e proprio spazio ludico.