La bassa stagione e la possibilità di scroccare un posto letto a Tokyo mi hanno permesso, perfino nello status sociale di “povero”, di farmi due settimane di meritata vacanza a zonzo in Giappone. Il mio status di “celibe”, invece, mi ha permesso di godere esclusivamente della compagnia del mio zaino.
Le spade di Hattori Hanzo a Okinawa, i robot guerrieri epilettici dei Simpson, la meticolosità e la calma del maestro Miyagi, le case in legno sullo sfondo mentre Hollycorre a scuola col pallone e la sua inspiegabile vittoria, insieme con il Giappone, del mondiale di calcio. Questa serie di cose completamente sconnesse tra loro ha sempre rappresentato per me il Giappone. Econtinua a farlo perché, dopo averci passato due settimane, ho scoperto che è proprio così, pieno di cose sconnesse tra loro, e che le ragazze a scuola si vestono davvero come SailorMoon. Da est ad ovest, dalle bettole ai templi, dal mare alla montagna, solo due cose sono state sempre presenti durante il mio viaggio: i distributori automatici di bevande e i konbini, dei minimarket perennemente aperti.
Tokyo è una metropoli a Shibuya e un villaggio a Yanaka. Le case a due piani all’imbrunire hanno un che di bucolico anche in una città con 9,273 milioni di abitanti. Ma basta mezz’ora di camminata e le ragnatele di cavi elettrici a vista lasciano spazio a mille lucine e neon che, nell’eccipiente dei discutibili successi di vari idol del J-pop, ti portano sull’orlo di una crisi epilettica. Da Don Quijote, una specie di grande magazzino pieno di dolcetti, ninnoli vari coloratissimi e musichette ipnotiche, ho pensato di svenire. Qui, oltre a rischiare il mancamento, si può comprare di tutto: il Giappone è quel paese dove ancora si fatica a darsi un bacio per strada, ma dove si può comprare una vagina finta al supermercato.
Omoide Yokocho e Golden Gai, assediati dai grattacieli deliranti di Shinjuku, sono un formicaio di stradine e case a due piani piene di bettole che soffiano dalle cucine un caldo scirocco unto dalla tempura, sopperendo alla quasi totale assenza del fumo di sigaretta dalla strada: il Giappone è quel paese dove in giro non si potrebbe fumare, ma lo si può fare nella maggior parte delle succitate stamberghe.
Ma, come spesso accade per le grandi città, Tokyorappresenta un unicume, durante il mio viaggio, ho potuto notare come il Giappone fosse molto più rurale e tradizionale. In un tratto del sentiero Nakasendo, tra Magome e Tsumago, il tempo sembra essersi fermato. Qui ho iniziato a vedere quel Giappone meticoloso, fatto di cedro, vissuto da vecchi signori curvi intenti a strappare uno ad uno i ciuffi d’erba di troppo dai prati.
Sul monte Koyasan ho potuto vagare tra una serie infinita di templi e monasteri e, dulcis in fundo, nell’Oku-no-In, un cimitero bellissimo dove – non ditelo ai monaci – di sera mi sono fatto un paio di Asahi godendomi il silenzio… tombale.
N.B. La preghiera mattutina dei monaci, l’indomani, è stata una delle esperienze più assurde di tutto il viaggio.
Himeji, con il suo castello mozzafiato, mi ha portato dritto nel Giappone dei samurai. Con il suo Torii nell’acqua, i boschi sullo sfondo, la calma dopo la partenza dell’ultimo traghetto, a Miyajima, altro luogo completamente avulso da manga e grattacieli, mi sono ritrovato in mezzo a branchi di simpatici cervi. Qui il popolo giapponese ha guadagnato tutta la mia stima in fatto culinario: ho scoperto che si permettono di arrostire e friggere le ostriche.
Perfino a Kyoto, la vecchia capitale, i grattacieli non sembrano essere arrivati. Ricca di templi e di storia, frizzante, ma in modo diverso da Tokyo, Kyoto è, forse, per il Giappone quello che Roma è per l’Italia. Passeggiando, ecco apparire tra le case, appena mi distraevo, ora un tempio, ora un giardino. Tra tutti, il tempio d’oro (Kinkaku-ji), più fuori mano, è stata una visione preziosa e sublime. Ma anche a Kyoto, è stato il passeggiare al crepuscolo, tra le vie di Pontocho, l’apice del piacere che ho provato. Un piacere rilassato, quasi un nirvana, raggiunto nel momento in cui la luce che cambia sembra rendere anche le persone più morbide e felici; prima della sera e della notte, quando le naturali conseguenze delle riflessioni crepuscolari diventano 243 cl di birra Kirin.