La scelta del Colore dell’Anno di Pantone ha le stesse caratteristiche, a mio modesto modo di vedere, dell’elezione di Miss Italia: due eventi che, nella sagra del luogo comune, assurgono il cliché a parametro discriminante; due eventi a loro modo particolarmente seguiti, anche se da pubblici, vivaddio, sostanzialmente diversi.

Benché suoni dissacrante, la mia affermazione non vuole essere un attacco alle operazioni di marketing. Al contrario, chapeau a Pantone! Ottimi strateghi della promozione, creativi e direttori marketing dell’azienda sono riusciti, nell’arco di ventitré anni, a rendere il colore dell’anno il punto di riferimento di numerosissimi ed eterogenei fruitori: designer, creativi a caccia di ispirazione, consumatori di moda, interior designer e architetti, cool hunter, negozianti, curiosi… a proprio modo e dal proprio, diverso, punto di osservazione, nessuno può evitare di prendere in considerazione ciò che si è trasformato in un vero e proprio fenomeno di massa. Dalla sbirciata alla lettura “oltre le righe” chi, in questi giorni, non ha osservato, con diversi criteri di valutazione e vari gradi di interesse, il colore Viva Magenta?

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Procediamo, però, un passo alla volta. Da un punto di vista fisico, il magenta non fa parte dello spettro visibile, a differenza del rosso. Senza entrare in dettagli esageratamente tecnici (credo che a pochi appassioni scoprire che questo colore sia sprovvisto di una lunghezza d’onda dominante) è utile sapere che esso si sviluppa da una miscela bilanciata di radiazioni lunghe e corte, rispettivamente corrispondenti alla percezione del rosso e a quella del blu, colori collocati alle due estremità dello spettro. Come per tutte le mescolanze, la percezione del magenta avviene, quindi, nell’occhio di chi guarda. Questo colore si differenzia dal viola per la diversa proporzione che lo caratterizza, fra radiazioni lunghe e corte, cosa che è chiaramente visibile nell’indole indubbiamente più bluastra.

Era il 1859 quando, per puro caso, il pigmento sintetico corrispondente a questo colore scaturì dal mescolarsi accidentale di scarti di coloranti utilizzati per creare nuove tinte. Quella chiazza informe, attraente e luminosa, sul fondo della bacinella fu una bella sorpresa per il chimico francese impegnato nella creazione di nuove tinture artificiali da fornire all’industria tessile. Il gioco era fatto: il fuchsine (il nome gli fu attribuito inizialmente per la sua somiglianza al fiore della fucsia) venne ben presto battezzato magenta, in onore della vittoria dei franco-piemontesi contro gli austriaci.

Primario nella sintesi sottrattiva e fondamentale per la stampa, esso è un colore dalla personalità esuberante che non passa inosservato, capace però di conservare, allo stesso tempo, un’aura di mistero. Vagamente introverso, il magenta raccoglie in sé le caratteristiche di entrambi i suoi componenti: audacia e visibilità si accompagnano a una certa dose di profondità e alla mancanza assoluta della sfrontatezza tipica del rosso, della sua fisicità esuberante.

Avrei voluto continuare a scavare nel recente passato di questo colore che ha fatto parlare di sé in molte occasioni e che, in realtà, non ha mai smesso di farsi notare per le proprie personali caratteristiche. E invece no, perché è venuto il momento dello scoop: Viva Magenta non è un magenta bensì, dichiaratamente, un rosso lievemente bluastro. Gridare al falso storico? Certo che no, indulgendo sul fatto che sia stato commesso un peccato veniale, una leggerezza consapevole che però, anche o soprattutto per questo, non giova alla cultura del colore. Personalmente, preferisco chiamare ogni cosa con il proprio nome e sono contraria tanto alla banalizzazione del sapere quanto alla divulgazione leggera del colore, che si realizza spesso per l’ingenuità di chi la compie. E’ come se la natura stessa del colore, estremamente complessa e sfuggente, potesse ridursi all’analisi superficiale operata, spesso e volentieri, da una certa stampa per il solo fatto che l’argomento appaia semplice, godibile e colorato.È un vero peccato che la ricca e sfaccettata simbologia del colore – forgiatasi nel corso dell’evoluzione delle singole culture, locali o diffuse, condizionata altresì dalle immagini archetipiche profondamente radicate nell’inconscio collettivo – venga sistematicamente ingabbiata e circoscritta entro una serie, povera e riduttiva, di aggettivi attribuiti ai singoli colori, senza consapevolezza specifica.

Tornando al nuovo nato, è necessario aggiungere, per onestà intellettuale, che la comunicazione organizzata da Pantone include foto e video che, insieme al colore dell’anno, un rosso lipstick non troppo brillante e leggermente freddo, raggruppano una serie di tinte che spaziano dal porpora medio al magenta vero e proprio: la promozione, è evidente, tende ad annoverare un intero gruppo cromatico molto vario e non omogeneo per caratteristiche, non un’unica tinta. Per questo, i colori delle immagini che accompagnano questo articolo rientrano pienamente nella categoria.

Trovo che Viva Magenta sia un colore facilmente applicabile in contesti di vario genere, ma che vada impiegato con attenzione soprattutto nell’interior, limitando la sua presenza ad accenti o a superfici contenute, evitando combinazioni monocromatiche, a meno che non si desideri sortire un effetto dirompente. Dall’arredamento alla moda, quest’anno andiamo sul sicuro: declinazioni più o meno coraggiose di questo colore sono comparse da qualche tempo a costellare la serie infinita di immagini che scorrono sotto i nostri occhi, in rete e sulle riviste, entrando a far parte del nostro vissuto quotidiano. Viva Magenta, qualunque esso sia, è un colore più compiacente del viola ma ugualmente ricco, che ben si presta ad incarnare il ruolo di leitmotiv che fa da ponte tra vari contesti creativi, rassicurante perché accettato e condiviso dai più. Ebbene si, è morto il magenta, Viva Magenta!

https://www.archdaily.com/921573/shanghai-museum-of-glass-park-coordination-asia

Credits: © Carla A. Bordini Bellandi