Si possono scorgere, sulle alture di Pegli nel ponente genovese, tanti blocchetti di calcestruzzo, uno di fianco all’altro, con al centro un oblò: un controverso quartiere di edilizia popolare dalla forma talmente iconica da essersi guadagnato il soprannome (vezzeggiativo? Ironico? Dispregiativo?) di “Le Lavatrici”.

©Antonio Lavarello

Sorto negli anni ’80 del secolo scorso, “Pegli 3” – questo il nome originario del complesso – rappresenta uno degli ultimi casi di grossi interventi di edilizia residenziale pubblica di Genova, figli di una legge fondamentale dell’Italia del “miracolo economico”, la 167 del 18 aprile 1962, volta a favorire l’acquisizione di aree per la realizzazione di edilizia economica popolare. Tramite questa legge venivano introdotti i PEEP (Piani per l’Edilizia Economica e Popolare) per i comuni con popolazione superiori a 50.000 abitanti o capoluoghi di provincia. Attraverso questo provvedimento il governo cercava di rispondere all’enorme richiesta abitativa generata dall’immigrazione verso i centri economici del triangolo industriale di Torino, Milano e Genova.

©Stefano Perego

Il comune di Genova applicò la 167 predisponendo un piano di grandissima portata che vide la realizzazione in 50 anni di oltre 70.000 unità abitative. Tutti gli interventi furono caratterizzati da tempi di realizzazione stretti e costi estremamente contenuti; inoltre, la morfologia del territorio genovese costrinse a realizzare la maggior parte degli interventi in zone collinari e scarsamente collegate con le altre parti della città.
A queste condizioni “originarie” non felicissime, si sommò un problema di uniformità sociale, laddove si sarebbe andata a creare una netta predominanza di persone che condividevano il medesimo disagio sociale, frutto di un difetto programmatico tipico dell’edilizia del secolo scorso.

©Stefano Perego

Il progetto di Pegli 3 venne affidato a un gruppo di architetti e ingegneri guidati da Aldo Luigi Rizzo, laureatosi sotto la guida di Luigi Carlo Daneri, co-autore, per chi non lo sapesse, del quartiere Forte-Quezzi, altro esempio di quegli interventi di edilizia popolare citati in precedenza e altro esempio meritevole di un soprannome: il Biscione. Tutta la sua formazione fu caratterizzata, già nell’ambiente di Daneri, dal razionalismo figlio dell’esperienza di Le Corbusier, e delle sue teorie abitative e materiche.

Courtesy ©Archivio A.R.T.E

Il quartiere, infatti, si ispira in parte all’Immeuble villa di Le Corbusier e si costituisce come un organismo autosufficiente, in cui dovevano essere presenti tutti i servizi necessari ai residenti. Realizzato sul crinale di una collina, il complesso è formato da due grandi gruppi di edifici speculari che si adagiano a est e ad ovest di essa. Sulla sommità, dove era possibile costruire maggiormente per ragioni geologiche, si trovano due edifici in linea alti, mentre lungo la collina si adagiano degli appartamenti duplex. Pertanto, il particolare disegno del quartiere deriva dall’orografia del terreno che, paradossalmente, ne sottolinea un aspetto organico, nonostante l’estetica forte, simile a una muraglia eretta dove prima si trovavano “solo” uliveti.

Il progetto prevedeva poi una grande promenade centrale e percorsi coperti per i pedoni. Tuttavia, alcuni dei collegamenti pedonali non furono mai realizzati e altri divennero, anziché gallerie, delle semplici passerelle scoperte. La promenade alberata è, ad oggi, poco utilizzata dai suoi residenti, ed è emblematico che i punti di ritrovo si concentrino principalmente nelle zone di passaggio e nei pressi delle fermate dei bus che servono il quartiere.

Un altro grande problema dell’intervento è costituito dalla cattiva esecuzione delle opere (altro grande classico di questo tipo di intervento, si pensi alle “vele” di Scampia).  Nelle settimane successive all’assegnazione degli appartamenti cominciarono immediatamente le lamentele da parte degli abitanti: infiltrazioni d’acqua, lesioni alle pareti, distacco di intonaci, ristagno di acque piovane sui terrazzi. Una media di tre problemi per ogni unità, che portarono il Comune a effettuare una perizia a soli tre anni dal termine della costruzione. Al centro delle critiche finirono sia l’impresa esecutrice dei lavori, sia i progettisti, che però sottolinearono sin da subito come il loro incarico si fermasse alla consegna del progetto definitivo e non prevedesse la direzione dei lavori, in capo agli architetti del Comune.

Oltre alle problematiche originarie, tra quelle “fisiologiche” va aggiunta l’assenza di manutenzione dell’immobile, gestita da ARTE (Azienda Regionale Territoriale per l’Edilizia). Inoltre, delle attività commerciali presenti alla nascita del quartiere, nessuna sopravvive ad oggi. La motivazione principale della loro chiusura, stando alle testimonianze di alcuni abitanti, risiede nei ripetuti atti di vandalismo e furti subiti dai commercianti. L’assenza di un supermercato e di servizi di vicinato rappresenta un problema specialmente per la popolazione più anziana (la maggioranza), che in alcuni casi deve affidarsi a qualche volenteroso vicino di caso e ai comitati di quartiere per soddisfare piccole necessità quotidiane come fare la spesa. Questi fatti dimostrano ancora una volta come i problemi principali del complesso siano di natura sociale, causati dal suo isolamento e dall’incuria in cui versa, piuttosto che scaturiti da scelte progettuali.
Nel dicembre 2015 è stato approvato dalla Giunta Comunale un piano del colore per il quartiere, attraverso cui il Comune punta a mitigare l’impatto del complesso modulandone il volume. Probabilmente un intervento del genere potrebbe contribuire a ridurre un possibile senso di smarrimento, di omologazione, di scarsa qualità urbana dovuto alla serialità delle cellule abitative e alla monocromia del calcestruzzo a vista, ma di sicuro sarebbe di gran lunga più efficace accompagnato a un sostanziale intervento volto a sanare il degrado sociale e fisico delle Lavatrici, che potrebbero, in realtà, essere anche delle abitazioni di un certo pregio, specialmente per la posizione panoramica privilegiata di molte abitazioni.