La fotografia moderna non è sempre sinonimo di postproduzione e artefatto. Leandro Colantoni, nato ad Agrigento nel 1991, ne è un esempio con la sua fotografia realistica, senza pretese di dipingere una realtà che non sia quella verace della Sicilia odierna. I colori opportunamente scaldati e la luminosità alta rimarcano (e non creano) quella “sicilianità”, come ama definirla il fotografo, che solo chi non l’ha assaporata può non riconoscere, ma non ne modificano i tratti distintivi.

È un modo di fotografare che riporta a un’epoca in cui la fotografia era lo specchio della realtà non aumentata, l’opposto della expanded photography. Panni bianchi stesi al sole, tende colorate sull’uscio, ombrelloni sotto braccio e quadri religiosi alle pareti. Scenari che già solo a menzionarli riportano ad un immaginario chiaro e specifico. Ritratti, anzi rubati alla realtà, da Colantoni trasmettono anche quelle stesse sensazioni e odori che ci provocherebbero nella realtà. L’impatto è quasi sinestetico.

La naturalezza e semplicità del fotografo passano anche attraverso gli strumenti che sceglie di utilizzare. Dall’enciclopedia Kodak che è stata il suo primo materiale di studio, all’iPhone, il suo ultimo mezzo di realizzazione di una serie, ovvero “Ultimo paesaggio siciliano”. Nessuna particolare retorica artistica o metaforica dietro la scelta, solo la necessità di Colantoni di avere sempre l’obiettivo a portata di mano, per poter fotografare quando la scena giusta si presenta e non quando è il fotografo a crearla.

Ritrarre la realtà significa accettarne i lati non canonicamente estetici. Ecco che allora la fotografia di Colantoni si colora di corpi non perfetti, di gesti non stereotipati, di capelli bianchi e rughe. Di una sicilianità che è composta non solo da mare e scogliere ma anche e soprattutto dalle persone che abitano l’isola da anni, che ne trasmettono la cultura attraverso le generazioni.

Photo Credits © Leandro Colantoni