“Arrestando il movimento, la fotografia si è trasformata nel bisturi con cui è stato possibile sezionare la realtà temporale. Il cinema, il dottor Frankenstein delle arti, prende le fette risultanti e le restituisce in qualcosa che assomiglia alla realtà”

Philip Proger

Fotografia e cinema sono due arti diverse ma entrambe figlie dello stesso comun denominatore, il frame. Se il film costruisce il senso attraverso il montaggio di molti fotogrammi, la fotografia concentra tutta la sua arte in un solo – fulmineo, pregno di significato – scatto. Fotografi e registi professionisti curano il frame nel dettaglio, sia esso ambientato nella realtà o in uno studio.
Alcuni fotografi vengono definiti “cinematografici” poiché applicano una cura del dettaglio del set in studio e della post-produzione dello scatto molto più simile al processo che viene in genere applicato alla produzione e post-produzione di un film. Non solo, questa categoria di fotografi mira a ricreare la narrazione di una storia all’interno dello scatto, come a voler raccogliere l’essenza di un film in un solo frame, tornando dalla complessità del montaggio totale alla sua unità base.
Fra gli esponenti della fotografia cinematografica Richard Tushman è un nome che non si può fare a meno di menzionare. Al Los Angeles Center for Photography tiene il corso “The Staged Poetic Image” in cui insegna a creare la fotografia cinematografica costruendo gli scatti con emozioni coinvolgenti. Ritroviamo quelle stesse emozioni in alcune delle sue serie, come My Childhood Reassembled, Hopper Meditations e Once Upon A Time in Kazimierz.

Riguardo alla serie My Childhood Reassembled, Tushman dice “Sono cresciuto nella periferia americana del Midwest dei primi anni Sessanta. Questo progetto riflette la mia esperienza in quell’epoca e in quel luogo come giovane bambino che cercava di dare un senso al suo mondo e alle sue relazioni familiari. Per questo libro di memorie visive, ho ricreato fotograficamente alcune vignette della mia infanzia. Basandomi sulla memoria e sulle istantanee di famiglia, ho costruito una replica di porzioni dell’interno e dell’esterno della mia casa d’infanzia. Ho poi diretto e fotografato un ensemble di attori-modelli che assomigliavano ai membri della mia famiglia”.Ricreazione di un vero e proprio set, direzione di attori che raccontano una storia… non è così diverso da un film, vero?

Gregory Crewdson, altro esponente della fotografia cinematografica, non si ferma a questo ma impiega anche assistenti, tecnici delle luci e altre figure professionali e strumenti generalmente riservati ai set da film. Concentra la sua creazione sull’America delle piccole città in cui inserisce figure umane conturbanti e alienate, in grado di raccontare una storia facendola scaturire dal contrasto fra la presenza scenica di questi personaggi e il contesto sinistro in cui sono inserite.
La vicinanza di Crewdson all’arte cinematografica non si ferma in realtà alle tecniche di realizzazione dello scatto e al tentativo di inserire un significato complesso ma è una vicinanza anche contenutistica. Ad esempio, nello scatto della serie “Eveningside”, Crewdson fa riferimento al classico di Hitchcock “Vertigo” e all’io sdoppiato della protagonista femminile che è ritratta riflessa allo specchio.

Così come nei film di molti registi possiamo trovare un fil rouge – i colori, le luci, le ambientazioni, la scelta dei personaggi – che permea ogni pellicola, anche per i fotografi cinematografici si individua un vero e proprio genere di appartenenza nella loro produzione. Ad esempio, Liam Wong produce scatti ambientati in contesti urbani e tetri ma illuminati da forti luci al neon che creano un’atmosfera misteriosa, con spiccate note orientali, accumunabile allo stile cinematografico sci-fi.

Il potere evocativo di questa tipologia di scatti è fortissimo. Ma emozioni e sensazioni sono universalmente e inequivocabilmente deducibili dal frame? Il significato viene accuratamente costruito dal fotografo nello scatto per raccontare una storia, la più breve e intensa che sia possibile racchiudere in un cammeo visivo ma richiede comunque sicuramente uno sforzo di comprensione maggiore da parte del fruitore e lascia più libertà alla soggettività e all’immaginazione.