In quanto mezzo di comunicazione la fotografia non è meramente una tecnica di rappresentazione della realtà ma anche una modalità per plasmarla e darle significato tramite la scelta di determinati soggetti e prospettive (metaforiche e non) da cui ritrarli. Il movimento femminista italiano, conscio del potere di questo mezzo se ne è servito per legittimare un nuovo ruolo della donna, permetterle di autodeterminarsi e analizzare lo status quo della propria condizione.
Come spiegato nel progetto PRIN “Fotografia femminista italiana. Politiche identitarie e strategie di genere” dell’Università di Bologna, nella storiografia italiana lo spazio dedicato alle fotografe donne resta ancora molto esiguo, da qui il proposito di colmare una lacuna così importante. Sempre secondo questo progetto la fotografia femminista italiana si divide in due rami, il primo fa riferimento alle fotografe che hanno realizzato le loro opere con un intento dichiaratamente femminista mentre il secondo comprende le fotografie realizzate da donne non dichiaratamente femministe ma che comunque hanno preso parte alla diffusione di un messaggio assimilabile a quello femminista.
Paola Mattioli si annovera fra le principali esponenti della fotografia femminista contemporanea. Figlia d’arte, non per la fotografia ma per il femminismo: la mamma avvocatessa, infatti, era una donna emancipata che ha combattuto per l’ingresso delle donne in magistratura. Ritiene che il femminismo sia un valore tanto per le donne quanto per gli uomini e sostiene il diritto a poter dire “no” in qualsiasi situazione. Uno dei suoi lavori fotografici più noti si intitola appunto “Immagini del no” ed è stato realizzato in Italia nel ’74, quando si combatteva per il diritto al divorzio. Nella fotografia di Paola Mattioli l’autorappresentazione la fa da padrona. L’atto di autorappresentarsi non è solo una scelta artistica ma significa autodefinirsi tramite un mezzo che lo permette. Il “no” è inteso dalla fotografa come prima espressione per affermare la propria identità, è infatti la prima sillaba usata da bambini per dire cosa non siamo.




Altre fotografe femministe non si sono concentrate sull’autodeterminazione ma sul ruolo della donna nella società. Fra di esse figurano Paola Agosti, Lisetta Cerati, Giovanna Nuvoletti, il Collettivo Donne Fotoreporter e altre. Quest’ultimo nasce a Milano nel 1976 e comprende inizialmente Liliana Barchiesi, Kitti Bolognesi, Giovanna Calvenzi, Mariza Malli, Laura Rizzi, Silvia Sismondi, Chiara Visconti; alle quali si unirono negli anni anche Angela Baroni, Marcella Campagnano, Marisa Chiodo e Gabriella Peyrot.
Il loro ultimo progetto comune “Una Nessuna Centomila” indaga e cataloga l’identificazione del ruolo della casalinga come costante della realtà femminile, la medesima delle fotografe stesse che compaiono nei ritratti. Il progetto è articolato in diversi capitoli, ciascuno curato da una fotografa. Le autrici degli scatti si riconoscono nei soggetti ritratti perché vivono la stessa realtà ma se ne discostano nel momento in cui mettono l’obiettivo fra sé e quel quotidiano dato per scontato, sezionato in maniera fredda e lucida.




Altre fotografe, come Letizia Battaglia, Silvia Lelli, Maria Mulas, Marialba Russo, per citarne alcune, senza un intento esplicitamente femminista hanno fornito un punto di vista femminile sulla realtà. Letizia Battaglia, ad esempio, nonostante abbia incentrato la propria produzione sul racconto di una Palermo vera e dura e sulla mafia che vi trova una culla, lo ha fatto prediligendo i soggetti femminili. Celebre è il suo scatto “La bambina con il pallone”, diventato simbolo della speranza e del futuro delle palermitane. L’utilizzo del corpo della donna nella sua produzione è utilizzato in maniera funzionale a creare un’opposizione con il mondo maschile, di violenza e di morte.




Nella fotografia femminista soggetto e oggetto si fondono, si scambiano, sono in una certa misura la stessa cosa. È un modo che ha la donna per specchiarsi nella società, per capire e capirsi. L’esperienza della condizione di donna è, sotto alcuni aspetti, talmente universale che le differenze fra chi sta dietro e chi sta davanti all’obiettivo si appianano, si riconciliano nelle condizioni di vita simili, nelle medesime difficoltà. Attraverso l’obiettivo si fondono per un obiettivo.