Quello di “prospettiva” è evidentemente un concetto basilare, una forma trascendentale, un principio primo della geometria e, quindi, dell’architettura stessa intesa come scienza dell’abitare, arte della costruzione, materializzazione di idee.
Dai tempi di Brunelleschi, poi, il suo è sempre stato un luogo eletto, un luogo umano, il luogo dell’umano per definizione. La prospettiva è infatti una dimensione, la dimensione del sensorio che più ha a che fare con l’anima, del senso focale, quella privilegiata dall’occhio indagatore, dall’iride spazializzata che, di volta in volta, assume colori e sfumature nuovi in relazione a luoghi, stati d’animo, appercezioni.
Potremmo, in un certo qual senso, inferirne che, di fatto, “prospettiva” sia “relazione” e che, di relazioni, vada infittendosi l’intricato groviglio dell’architettare e del sentire. La prospettiva, in accordo con le indicazioni della matematica figurata, non è, in effetti che un insieme: un ordinamento privilegiato di linee, proiezioni, rappresentazioni; il cosmo puntuale del multilineare dispiegamento del caos.Come figurarsi il caos se non attraverso l’immancabile prisma ottico dell’individualità? E come, per converso, progettarsi in quanto singolarità senza il nesso fisico-spaziale ed emotivo-esperienziale dell’incontro prospettico?
L’incontro, in questo particolare rispetto, non è che “punto d’incontro” o, per dirla ancora una volta geometricamente, un “punto di fuga”.
Il punto di fuga, principio cardine delle scienze positive anch’esso, assume – nell’ esprit de la geometrique come in quello della finezza –, pertanto, i contorni del medio armonico, del ritrovo comune delle linee della differenza prospettica, del compromesso spaziale dell’alterità.
Le varie prospettive, legittime espressioni delle caratterizzazioni umane, sono così concepibili come delle convergenze parallele:delle rette iridate e determinate che, metaforicamente, trovano nel punto di fuga il paradossale compromesso, l’accordo supremo, l’epicentro primigenio.
Tanto il design quanto l’architettura – nei panni di “materializzatori della prospettiva”, di discipline della “fuga”, dell’ermeneutica dei punti di vista – non possono che divenire dei catalizzatori di interculturalità, delle indispensabili forme di comunicazione e di applicazione dell’abitare, del vivere in comune. Essi, oggi più che mai, hanno il dovere morale ed estetico di incorporare – di unire – conservando le differenze prospettiche specifiche e, allo stesso tempo, elevando queste ultime fino a un più alto grado di confronto, di composizione, di comprensione.
Potremmo, in questo senso, auspicare che gli spiriti pascaliani della “matematica” e del “cuore”, almeno potenzialmente, possano – nel design – ricucire lo strappo originario riavvicinandosi l’un l’altro, riunendosi e riunendo, così, i mondi e i modi del “ragionare” e del “provare” grazie alla costruzione, alla tanto agognata costruzione di un ponte tra prospettive, di un punto di fuga, di libertà politica e spaziale, di ristoro.

OFF Vicolo33: un arcipelago del ristoro

A proposito di libertà e di ristoro, oggi vi parlerò della buona politica di OFF Vicolo33 – di Giuseppe Calarco e Nicola Spuria – e del loro “arcipelago della condivisione”.
Come lo stesso Giuseppe convintamente afferma, “Off Vicolo33” è, come tutte le innovazioni degne di questo nome, una risultante di forze contrapposte ma non opposte, distinte ma comunicanti. Sbocciato sul terreno urbano di un vicolo portuale, a una ringhiera e a un binario tramviario dalle acque verdeggianti dello Stretto di Messina, il suo fiore ha caparbiamente attraversato pandemie, tempeste e controversie prima di prosperare e, addirittura, farsi altro da sé, variazione di sé, divertissement eternamente estivo, tapas bar industrial-chic.
Al di là di qualsivoglia definizione sommaria, Off è ben più di ciò che persino il sottoscritto, miei cari lettori, possa dire e descrivere: la parola non può infatti ingabbiare l’immaterialità degli incontri né tantomeno imbottigliarne la salinità, tipica della vita di riviera, della spensieratezza attiva del diversivo, dell’ottimismo metafisico dell’“isolanità”, dell’impeto onesto e screziato dei profumi di battigia.
L’esperienza di Off è, di certo, l’“esperienza della differenza” oltreché, naturalmente, quella della pacificazione: dei posti, dei sensi, dei contrari. Nel “posto dell’incontro”, in questo arcipelago delle prospettive, vanno infatti convivendo ambienti multipli, dal ristorante, passando per il beach lounge, fino ad arrivare all’isola scalza di memoria arabeggiante, nella quale tappeti, sedute basse e poltrone pouf costeggiano un litorale dipinto e donano dinamismo a una struttura multilivello aperta, sinuosa, libera da costrizioni e stereotipi.
La sperimentazione gastronomica, trascrizione organica del loro inquieto ideale di bellezza, affonda le proprie radici nella ricerca, avvicendando aperitivi all’italiana, finger food, piatti continentali e rivisitazioni creative della venerabile tradizione siciliana.

La freschezza, letteralmente e allegoricamente, pullula in ogni dove: dalle materie prime alle primizie dell’abbraccio sociale e visivo, la creatura di Giuseppe e Nicola, respira e fa respirare, ispirando calore, delicatezza, vicinanza spaziale ed emotiva. A questo proposito, non si può non porre l’accento sul fulcro della socializzazione – novità assoluta nello scenario cittadino –, incarnato dal “social table”, dal tavolo sociale rivolto, nel pieno spirito del “design dell’attivismo” prospettato poc’anzi, alla compenetrazione, all’interculturalità, al miracolo dell’incontro.
Un miracolo nel miracolo, quello di Off Vicolo33, nato nella culla della sicilianità più primordiale, miracolo anch’essa, amenità naturale in grado di imprimere immagini potenti, di rendere la filosofia della natura e quella dell’architettura un impareggiabile tutt’uno.
Nella sola regione del pianeta Terra in cui i confini e le altezze vanno sfumando fino a confondersi, ad innamorarsi, l’innamoramento di Giuseppe si è fatto carne, spiaggia, legno: nel legno vivo delle pedane, nella vivezza senza retorica delle piante verdi della sua terra, nel metallico allure post-industriale delle sue fondamenta, Off è rivissuto di vita nuova.
Quest’arcipelago dai mille volti è città nella città, spiaggia nella spiaggia, è un tonico geometrico per lo spirito: nelle sue maglie ampie, come nella morbidezza dei suoi contorni, il sole canta la sua promessa più gloriosa: dileguarsi sotto il pelo dell’acqua senza mai cambiare sostanza.
La filosofia dell’architettura è l’arte dei “muta-forma”.
Off Vicolo33 è la geografia di un amore.