Nel venire al mondo, tanto i luoghi quanto le persone umane soggiacciono immediatamente a un insopprimibile bisogno di nutrimento, di fondamenta, di cure, di riconoscimento. Di riconoscimento – inteso come marchio di unicità e prova condivisa di presenza – abbisognano le strutture e gli organismi di volta in volta concepiti come cosmi organicistici in cui la singola parte è in nome del tutto essendo compartecipe di un tutto eterogeneo ma identitario, vario benché coerente.
Esser-ci in quanto essere ed architettare, essere e filosofare, essere nella storia è, in effetti, godere dell’altrui riconoscimento, venire “chiamati”.
Esser-ci è nominare.

La filosofia dell’architettura è, quindi, una scienza del dire oltreché del costruire: è arte e scienza allo stesso tempo. È scienza poiché, come chiarito nelle puntate precedenti, si sostanzia dello studio sintetico di categorie, di esistenziali, di forme a priori; è arte poiché, lungi dal collocarsi sul terreno dell’impersonalità, è solita avere diritto di cittadinanza nelle maglie dell’incontro, dell’associazione tra gli uomini, presso la casa dell’intendimento, del senso comune di esser vivi e agenti: di essere creatori di un mondo, di essere attori protagonisti sul palcoscenico della storia.
La storia, alla stregua dell’architettura, è anch’essa “scienza” e “arte” a un tempo. Parafrasando Marc Bloch e il suo paradigmatico Apologia della storia, potremmo forse approvar-ci la liceità della seguente affermazione: l’architettura – al pari della storia – si fonda sia sulla razionalità che sull’empirismo; è creatività e metodo; è, nel medesimo momento, «l’arte del liutaio e la scienza del fresatore».
Tecnico e tecnologo, summa di intuito e applicazione, figlio della madre inventiva e del padre perseveranza, l’architetto – alias il designer della spazialità – è solito guadare il fiume della storia, consultandone i fondali, respirandone le brezze dolci, toccandone la direzione, provando ad apprenderne i diagrammi, i flussi, le entropie.
Dal letto del corso al greto dell’universalità concreta, il filosofo dell’architettura è un flâneur liutaio, un fresatore creativo, un costruttore di relazioni, uno storico della bellezza. È, insomma, un artista-scienziato, un istrione che guada attentamente e che, fuori dal guado, è capace di compiere il miracolo della metafora, della trasfigurazione, della ri-creazione incessante eppure mutevole di luoghi, di storie, di nomi.

Angelica Capri: nel nome della “dolce vita”           

Fuori dal guado – “fuor lo vado” – in via Fuorlovado 8, nella Capri della “dolce vita”, nel bel mezzo della vita dolce della costiera della leggenda, a due passi dalla piazzetta dei divi angelini, dei poeti urbani, dei neomelodici erranti, fa capolino l’iperboreo Angelica Capri – da un’idea di Alessandro Avvenente –, isola eletta nell’isola degli eletti, circonfuso di aura angelica, avvolto da un  pulviscolo di profumi mitici come il faraglione “Saetta”, angelico come Angelica, nonna di Alessandro e destinataria della lettera d’amore del nipote, nucleo pulsante e nominale di un ristorante-boutique lussureggiante come la terra in cui sorge, sorgivo come l’acqua azzurrissima, grotta tra le grotte cantate dall’optima fierezza dell’imperatore Tiberio e dall’inguaribile svenevolezza di Wilde.

“Angelica Capri” architetta, nomina e istoria la Capri dai mille volti, arcigna come le rampe di Anacapri e smancerosa come le rive sparute di Marina Piccola; la Capri degli uliveti all’ombra del Monte Solaro e quella delle serenate da mille e una notte tra le insenature oracolari della “Canzone del Mare”, gli ombrelloni giallo-blu del patinato Luigi o le iscrizioni nerudiane al riparo dall’ultimo sole.
Angelica Capri, come Capri, è perla del design istoriata di vita vissuta, di vite varie, di vite di modelle e di nonne, di artisti e di navigatori, di filosofi e di architetti, di architetti-filosofi. Se per istoriare, in effetti, si intende l’adornare che sia più che il mero abbellire, un adornare che sia un omaggio alle gesta di uomini storicizzati, di architetti di opere ed eventi storici, ebbene, Angelica Capri non può che essere storia istoriante, il tempio dell’adornare che travalica se stesso divenendo intelligenza del disegnare, scienza del costruire, arte dell’abitare.
Non sono forse queste tutte nobili manifestazioni del design? Design esse stesse?
Design è intelligenza del decorare.

Angelica Capri, così congegnata da Alessandro – in questo, degno erede del suo maestro Ducasse – è certamente la generazione consapevole dell’intelligenza del decorare, finanche dell’amore per la memoria e della riconoscenza nei confronti della storia che è tradizione: del cucinare, dell’abbellire, dell’ospitare.
Nella roccaforte della sua cucina a vista cinta dalle maioliche oracolari della saggezza vietrese, Alessandro ha architettato il proprio mondo-sfondo: nell’orizzonte diacronico del dialogo fra presente e passato, fra lui e la nonna, Angelica Capri si è così fatta carne e spirito: miscellanea variopinta di esperienze, di mestieri, di unicità.
Con la sua mise en place d’avanscena – risultante di florilegi e forze d’autore, piatti a mano e menù su misura –, con i quadri di Luca , i libri di Vincenzo, gli oleandri di quel museo a cielo aperto che è Capri nella sua inafferrabile e inesauribile varietà esistentiva,  nelle fatiche grezze e adamantine di tutti gli artisti di strada, delle strade di tutte le epoche possibili, Angelica si è ritagliata il suo intorno di unicità nel letto della Capri-opificio, della Capri-atelier attorniata dalle danze degli amanti, contornata dagli affreschi in movimento di pescatori, fruttivendoli e cantanti.
Nel segno, nel cuore, nel nome – di un nome che commuove – della dolce vita, l’Angelica di Alessandro e di sua nonna si è avverato grazie alla stoffa delle proprie origini e le ascendenze d’oro di storie che fanno storia: storie d’evocazioni agrumate e piatti ricamati, di ricami e richiami di ceramisti e coreuti, di tornitori e sarti, di tovaglie candide e grafie minute ed eleganti da incisori dei gusti, del gusto, del buon gusto.
Nella sua dimora – nella speciale cristalleria che sfolgora sotto l’egida color magenta delle bouganvillee riarse dal sole caprese –, in nome di Angelica, grazie ad Angelica, Alessandro è stato in grado di cucirsi addosso la cifra della sua propria personale variazione sul tema.
Angelica Capri è un’armonia di visioni, intenti e tempi.
La filosofia dell’architettura è l’anatomia di uomini storici che si chiamano attribuendo dei nomi al tempo.