Che quella tra “natura” e “cultura” sia una storia d’amore burrascosa è fatto assai noto. Millenaria come la loro stessa origine –“origini” ambedue sullo sfondo di un’obbligata complementarità –, questa relazione di relazioni plurime tra significanti e significati, di accezioni ed eccezioni di senso, si è nel tempo via via aggrovigliata radicandosi nel terreno comune dell’“essere” e dell’“agire”, nell’accoppiamento inevitabile dell’essenza e dell’atto come fecondazione esistenziale e costruzione pratica dell’uomo – uomo-filosofo, uomo-architetto, architetto della filosofia per elezione.
Dalla filosofia, da quella eletta della Grecia periferica, naturalmente centrale per estrazione e lignaggio, il concetto di natura (φύσις, physis), pur precedendo cronologicamente quello di cultura, dipende invece da esso nel quadro del gioco tra parti, in riferimento a quella ‘politica dell’incontro’ che è l’unico punto di collegamento e di coesione fra identità individuali, naturali e non per questo meno sociali, appunto “culturali”, tra animali segnati da un duplice destino.
La cultura che è infatti didattica, insegnamento, condivisione delle strutture, dei luoghi, delle finalità del pensare (παιδεία, paideia), ma anche parola, discorso, narrazione, attribuzione teleologica di un fine qualitativo che conferisca valore e continuità all’“intero in movimento” che siamo soliti chiamare “vita”. E quindi cultura come λόγος (lógos), come fuoco, e altresì come conoscenza (σοφία, sofía), come sapiente conduttore di elettricità, come magnetismo cosmico, quanto abbacinante che fa luce (phàos) sui rapporti di comprensione fra la vita-natura che siamo e la vita-natura che ci circonda.
Natura e cultura come archetipi e bussole nell’accidentato e accidentale mondo del contatto, natura e cultura come tatto e tangenza di due sfere comunicanti dal carattere intatto.
Architettare relazioni tra i caratteri della differenza, innestarsi nel dominio del tempo è, in effetti, impresa tracotante, ebbra di buoni sentimenti ma anche di prepotenza – di quella prepotenza tipica degli dèi, degli eroi, dei poeti.
Non è mica vero che bisogna essere poeti per mettere in opera la verità – l’arte –, per creare ad arte le più favolose immagini della realtà? E la realtà non è forse una valanga eidetica di sequenze dal mondo naturante e naturato, culturante e culturato, della gioia?
‘Arte della gioia’.
Arte della gioia come folie della meraviglia, come maintenant della salute universale, touche e rimessa in partita, nella partita del tocco, nel punto di fusione fra natura e cultura.
Borrello: soci della natura
“L’arte della gioia”, come quel romanzo di Goliarda Sapienza, lei stessa forza in virtù del conflitto tra natura e cultura, tra la vampa dell’eruzione e la clausura dello spegnimento, da un convento siciliano alle pendici dell’Etna fino al cielo.
Nel cielo siciliano, a una manciata di chilometri dal vulcano del sogno catanese, nel cuore infiammato dei Nebrodi messinesi, ecco a voi il protagonista di oggi: il Borrello. La fattoria dei sapori fucina della biodiversità e del talento, sfondo del portento dell’incontro, ancestrale e sociale, tra uomo e natura.
“Ancestrale” come quella poesia di Goliarda, la casa dei Borrello – con Franco e i figli Anna Laura e Giuseppe in primo piano – è l’espressione del legame saldo fra l’imprendere e il prendersi cura della natura viva, viva e libera come i suoi animali allo stato semi-brado, viva e libera com’è viva e libera la dimora di un amico (socius), un’amicizia tra pari e diversi, la società della diversità, del concerto naturale della naturalità dell’organismo vivente.
Amanti della Terra, amanti nella terra sicula inscritta tra le azzurrità torreggianti di Floresta, i castelli ameni di Montalbano, i punteggi floreali di Sinagra e la spiritualità nobiliare di Patti, i Borrello hanno dato vita al florilegio di vite, stagioni e calori della propria fattoria nel bel mezzo del calore montano della Raccuja nebroidea, della tavolozza florida e faunesca del borgo della grande politica e delle thòloi , dei suini neri di pelle nero-olivastra, nel tono su tono delle sue cupole petrose, delle sue volte turchine.


A Raccuja, nell’altitudine scelta del suo olio d’oliva “Slow food”, nel fluire lento della sua quotidianità in technicolor, i Borrello hanno coltivato la loro continuità, storia nella storia, principio e giardino del fagiolo di Carrazzo, erba della salubrità, della salvezza, salvia della gioia, concime naturale delle uova di “galline felici”, dell’autoctonia di una felicità senza contaminazioni, della sapienza del verso, del discorso poetico tra teoria e prassi, nello sprazzo luminoso fra conoscenza e riconoscimento del miglio a miglia zero, nei chilometri della purezza scelta di una coltura-cultura che non mente, della natura essente e cosciente dei bisogni di Gaia, del fragile equilibrio della donna terrestre, della polifonia silvestre fra viventi, fra enti del conoscere e del fare, del cucinarsi uno spazio arboreo e iperboreo nella lignea armonia di un silenzio che parla.
E parlano anche il legno e la pietra, materiali eloquenti della gioia dell’architettare, del creare rivelando la natura all’uomo e l’uomo a se stesso: humus inverato con la cura e della Cura figlio, padre del Borrello agriturismo e putìa, bottega degli artigiani-pastori, dei cuochi-artigiani al caldo del forno rovente, all’ombra delle querce secolari gravide di pani e spiriti, di potenza materica nei cerchi di un attaccamento che non invecchia mai.
Non invecchia il volto delle premure dei Borrello: cerchio di trattori e coltivazioni, cerchione a muro, ritorno circolare agli infissi poveri e ricchi di lussi inattaccati dalla signoria dell’artificio, dalla sprezzante iper-tecnologia del maleficio; tornio in cui rivive l’argilla di un opificio intonso, di una creazione senza ufficio, della natura che officia e bacia, aperta e distesa, la cultura della natura senziente, di una natura bella, immacolata, illesa – di una natura che sente.
Architettare la gioia è, in fondo, una sinfonia per contadini, per pastori, per poeti della cura.
La filosofia dell’architettura è la fattoria dei naturisti, dei culturisti, dei nudisti della palestra del sapere.
Borrello mette a nudo il ritmo dell’amicizia rivelandoci la vera natura della gioia.
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