Sono due, in particolare, gli aspetti che vi ho fatto conoscere maggiormente attraverso i miei articoli: il primo è che sono una siciliana che ama spropositatamente la sua terra, il secondo è che sono un’inguaribile cinefila che cerca spesso di coniugare la settima arte con la sua professione (e passione).
Oggi vi parlo di un argomento considerato nell’immaginario comune alquanto “bizzarro”: le carte da parati o wallpapers. Odiate o amate, senza vie di mezzo, dividono sempre nettamente clienti e acquirenti quando si tratta di proporre una finitura o un rivestimento murale “alternativo” nei progetti di interior design di cui mi occupo.
Quando si pronunciano le parole “carta da parati”, spesso ai committenti balena immediatamente un’immagine storica, forse nostalgica, ma comunque non apprezzata esteticamente che li porta a storcere il naso. Eppure, oggi le carte da parati spopolano grazie a migliaia di texture, trame, disegni e strutture sempre più variegate.
Quel rigetto iniziale, a cui ormai sono abituata nel mio lavoro, va oltre il semplice gusto estetico. Ho provato a capire il perché e, come spesso mi succede, ho trovato la risposta nel cinema.
Sul grande e piccolo schermo le carte da parati non sono mai un semplice sfondo o un elemento di scenografia. Nel linguaggio visivo cinematografico diventano un ponte tra lo spazio fisico e quello emotivo, un elemento che arricchisce la narrazione senza bisogno di parole. Come strumento puramente narrativo, le carte da parati possono definire l’epoca, il contesto sociale o lo stato mentale dei personaggi, trasformando una stanza in un racconto. La loro valenza visiva cattura lo sguardo con pattern che suggeriscono armonia, disordine o inquietudine. Ma il loro vero potere risiede nella capacità di richiamare ricordi: un motivo familiare o un colore può risvegliare memorie sopite, legando lo spettatore all’immagine e al suo significato emotivo.
Registi e scenografi usano spesso pattern, colori e texture per raccontare storie e creare immagini indelebili. Le carte da parati definiscono l’atmosfera di una scena, trasformando gli spazi in contenitori di emozioni e stati d’animo. Allo stesso tempo fungono da estensione psicologica dei personaggi, riflettendo conflitti, ossessioni o sentimenti nostalgici. Queste corde emotive non si attivano solo per i protagonisti sullo schermo ma si imprimono anche negli occhi degli spettatori, creando una connessione simbolica tra ciò che vediamo e il valore di ciò che resta una volta terminata la visione.
Sono iconiche alcune carte da parati che hanno segnato per sempre determinate pellicole, diventando non solo un cult, ma anche un simbolo per la storia del cinema. Sono certa che qualcuna viene subito in mente anche a voi. Sul mio personale podio non può che esserci Shining (1980) di Stanley Kubrick.

Le carte da parati e la tappezzeria dell’Overlook Hotel, con il suo disegno esagonale, sono uno dei motivi più riconoscibili della cinematografia mondiale. Creano un effetto ipnotico che amplifica il senso di claustrofobia e disorientamento, caratteristiche disturbanti fondamentali del film.
In Oldboy (2003) di Park Chan-wook, il pattern geometrico che ricopre la cella dove il protagonista è intrappolato rappresenta visivamente la monotonia opprimente della prigionia. Qui le carte da parati assumono un forte simbolismo psicologico, trasponendo visivamente la prigione mentale del personaggio.

Mi balenano subito in mente i mondi di Wes Anderson, maestro nell’uso di carte da parati e tessuti per creare universi paralleli. I suoi motivi floreali e vintage sottolineano il romanticismo e la nostalgia che permeano le sue storie.

Le carte da parati di Suspiria (1977) di Dario Argento contribuiscono a creare il carattere onirico e inquietante del film.

Anche nelle serie TV ritroviamo questa logica narrativa. Ne La regina degli scacchi (2020) le carte da parati riflettono gli anni ’50 e ’60, incarnando perfettamente la funzione narrativa.

La prima volta che ho visto In the Mood for Love (2000) di Wong Kar-wai, credo di essermi innamorata della sua composizione: ogni frame è un dipinto. Le carte da parati ricche e colorate diventano il palcoscenico delle emozioni represse e dei desideri inespressi dei protagonisti.

Anche Pedro Almodóvar, compositore per eccellenza dei colori accesi, in film come Volver e Dolor y Gloria utilizza carte da parati dai colori vividi per esprimere passione e vitalità. Ogni texture diventa parte integrante della narrazione, rendendo gli spazi quasi teatrali.

In Vertigo (1958) di Alfred Hitchcock, i colori e le trame delle pareti accompagnano l’ossessione e il mistero, amplificando il disagio dello spettatore.

In Jojo Rabbit (2019) di Taika Waititi, le carte da parati dai toni caldi contrastano ironicamente con il tema del film, esaltando il punto di vista innocente del protagonista e creando un’atmosfera domestica surreale in tempi di guerra.

Al cinema, le carte da parati si trasformano quindi da semplici sfondi a elementi di un linguaggio potente, capaci di raccontare più di quanto possano fare i dialoghi o i personaggi stessi. Ogni motivo, colore e texture porta con sé una storia, un messaggio sottile che agisce a livello inconscio. Suggeriscono la monotonia di una routine immutabile, evocano il calore di un ricordo d’infanzia o preannunciano un senso di inquietudine imminente.
Non si limitano a definire uno spazio, ma lo riempiono di significati: raccontano il tempo in cui si svolge una storia, l’anima di chi abita quegli spazi e trasportano lo spettatore indietro nel tempo, trasformando ogni dettaglio in un veicolo di emozioni.
Trasportati in questo vortice di colori e geometrie ipnotiche, ritorniamo ora alla nostra realtà. Quella in cui forse lasciamo entrare troppe immagini non filtrate che ci scorrono davanti ogni giorno a ritmo frenetico. Eppure, in qualche angolo della nostra mente, abbiamo conservato un luogo o un’ambientazione diventato ricordo e poi simbolo. Come quelle carte da parati, incastonate nella nostra memoria come qualcosa di antico e stantio, a cui oggi possiamo riconsegnare però un nuovo valore, separando il simbolico (o nostalgico) dal contemporaneo ed estetico che si sta facendo strada nella riprogettazione e nel design dei nostri spazi quotidiani.