È vero che per un progetto di design il materiale è una variabile che può influenzare totalmente il tipo di evoluzione concettuale dell’idea. È anche vero che sia la forma che la funzione possono determinare il risultato finale. All’interno delle possibilità espressive offerte da tutti tipi di materiali, a mio parere ce n’è soltanto uno che prescinde da queste leggi e che in tempi totalmente diversi e in condizioni diametralmente opposte è riuscito sempre ad esercitare un fascino particolare, quasi ipnotico, sui designer che lo hanno utilizzato: il vetro soffiato.
Ci sono rimasti al mondo pochissimi luoghi dove questa arte antica viene esercitata ancora oggi in modi sempre più distillati nel corso del tempo: l’isola di Murano e l’area del Veneto, le regioni della Boemia e dell’Alsazia, per citare solo le più note. Quello che però mi ha sempre sorpreso personalmente è il fascino che questa particolare forma d’arte ha sempre esercitato sui designer, sia quelli più tradizionali che quelli che vogliono sfuggire ad ogni costo a tutte le etichette; nessuno escluso, quando entrano in contatto con un laboratorio di soffiatura del vetro, immancabilmente sentono l’esigenza di misurarsi con questo mondo, ne sono irrimediabilmente stregati e ammaliati.
Sarà per l’idea di veder nascere qualcosa dal nulla sotto i propri occhi, sarà per quel processo creativo che non necessita di prototipi ma che fa nascere subito l’oggetto direttamente dall’idea, sarà perché banalmente il vetro è lucido e colorato e ci riporta a quando eravamo bambini e giocavamo con le forme base, ma di sicuro resta il fatto che alcuni tra i più begli oggetti della storia del design sono realizzati con questa tecnica. E in questo senso il ruolo sociale del design si manifesta non come ricerca di un sistema industriale per la produzione di oggetti di progresso, ma come attore principale nella preservazione di una tradizione secolare che in nessun modo deve venire abbandonata.