“La luce va seguita senza opporre resistenza. Non potrà che illuminarci”.
Sembra che in questo periodo di grande riflessione internazionale il mondo della cultura italiano non possa avere un po’ di tranquillità: dopo aver dovuto salutare Germano Celant pochi giorni fa e il maestro Ezio Bosso questa settimana, dobbiamo salutare anche Nanda Vigo, che si è spenta ieri a ottantatré anni nella sua casa di Milano. Un nome, quello di Nanda Vigo, che in epoca moderna può sembrare appannato e anacronistico, magari lontano dalle dinamiche che celebrano oggi i mondi dell’architettura e del design, ma è un nome legato ad una storia formidabile di avanguardia artistica, stilistica e progettuale.
Nanda Vigo è stata sempre una figura inquieta, ribollente, mai appagata, con un carattere spigoloso e articolato, che ha affiancato la sua esperienza artistica a nomi del calibro di Lucio fontana, Piero Manzoni (di cui fu compagna per molti anni) e Giò Ponti.
Un’esperienza artistica la sua iniziata durante la seconda guerra mondiale dove, sfollata a Como con la famiglia, restò ammaliata e sconcertata di fronte alla Casa del Fascio di Giuseppe Terragni e al ruolo che la luce prendeva, definendo chiari e scuri, pieni e vuoti, e tutto ciò che esisteva nel mezzo.
Da lì, da quel momento, prende il via a una carriera internazionale e che la porterà a realizzare mostre ed installazioni in tutto il mondo sotto il segno della luce e della sua concezione tridimensionale. Dalla Triennale di Milano del 1964 e del 1973, alla Biennale di Venezia del 1982, agli allestimenti per aziende come Driade e Glas nel 1986 e nel 1994, alle collettive per Zero Group dal 1964 al 2015, l’attività di questa artista è stata prolifica e tentacolare.
Nel 1971 Nanda Vigo inoltre riceve il prestigioso New York Award for Industrial Design per la sua iconica lampada Golden Gate.
Nella sua lunghissima attività, Vigo ha perciò sempre creduto nella connessione tra arte e design e architettura, realizzando progetti e oggetti che non sono mai leggibili in una sola direzione; esistono sempre differenti punti di lettura e di interpretazione determinati dal mondo artistico che li compenetra. La sperimentazione di materiali innovativi, l’accostamento di concetti filosofici e futuribili, le sovrapposizioni culturali di un linguaggio spurio, queste erano alcune delle caratteristiche dell’opera di Vigo, che la rendevano artista raffinata, concettuale ed eccellente.
E se per caso vi foste persi la grande mostra della scorsa estate a Palazzo Reale di Milano (Nanda Vigo. Light Project) c’è un’ottima occasione per approfondire il lavoro di Nando Vigo, al MACTE di Termoli, dove mercoledì 20 maggio aprirà una mostra a cura di Laura Cherubini fino al prossimo 13 settembre.