Nel 1930 Gandhi iniziò a camminare verso il mare. Un gesto simbolico, un cammino per andare a raccogliere ciò che ci si poteva procurare solo acquistandolo dagli inglesi: cristalli di sale. Questa e le numerose altre proteste e manifestazioni fatte portarono il governo britannico a concedere finalmente l’indipendenza all’India, il 15 agosto del 1947. Tuttavia, contestualmente alla concessione d’indipendenza, il sub-continente indiano venne ulteriormente diviso, senza preavviso e, come spesso succede nella storia, senza tener conto di etnie, lingue parlate, religioni professate. Questo fatto diede il via a flussi migratori, sanguinosi conflitti e a una guerra tra India e Pakistan per la spartizione del Punjab. Alla fine -solo temporanea- del conflitto, Lahore, capitale della regione, si trovava in territorio pakistano.
In questo contesto, il primo ministro Jawaharlal Nehru desiderava fondare una nuova città, una nuova capitale per il Punjab indiano che incarnasse il futuro della nazione: un luogo che fosse un sogno di dinamismo e modernità. Da questo contesto e queste intenzioni nacque Chandigarh.
Il progetto per il masterplan venne affidato all’architetto polacco Nowicki e allo statunitense Mayer. Tuttavia, l’improvvisa morte del primo portò Mayer ad abbandonare il progetto Nehru si rivolse a un altro architetto europeo, Le Corbusier. Per lui Chandigarh fu un esperimento incredibile, paragonabile nella storia dell’architettura, forse, solo alla Brasilia di Lúcio Costa e Oscar Niemeyer, entrambe, tra l’altro, patrimonio UNESCO.
L’originale masterplan di Mayer, con strade sinuose che assecondavano le curve di livello del terreno, fu trasformato da Le Corbusier in una rigorosa griglia ortogonale, in cui le nuove strade furono classificate gerarchicamente dalle arterie V1, che collegavano diverse città, ai percorsi V7 e V8, pedonali e ciclabili. Questa griglia divideva la città in settori, ciascuno dotato di un’ampia striscia di spazi verdi e un asse commerciale ad essa perpendicolare. Il masterplan, così razionale e allo stesso tempo incentrato sulle aree verdi, derivava dai principi della Ville Radieuse e della Garden City, che Le Corbusier poté applicare in totale libertà trovandosi a operare in un’area libera come la campagna del Punjab.
Concependo il masterplan come un corpo umano, Le Corbusier posizionò in testa, ai piedi dell’Himalaya, il Campidoglio con i suoi edifici amministrativi, sicuramente i più emblematici di Chandigarh, tutti in calcestruzzo armato, quasi sempre a vista.
La sede dell’Assemblea è, tra questi, sicuramente il progetto più rappresentativo dell’attività dell’architetto svizzero in India, inscrivibile nella sua produzione matura, quella più organica e plastica. Il portico sulla facciata principale, con l’ampia copertura curva retta da esilissimi setti, crea giochi di ombre che esaltano il carattere scultoreo dell’edificio. La sala dei deputati, dalla pianta circolare, emerge all’esterno con un tronco di cono, mentre all’interno è un’esplosione di colori, quasi a richiamare una certa tradizione indiana di tessuti.
Stando al progetto di Le Corbusier, il tetto concavo del portico doveva accogliere la pioggia dei monsoni, per poi incanalarla verso i monumentali bacini d’acqua, mentre lo spazio della copertura doveva essere accessibile attraverso un ascensore semi-pubblico e utilizzato per feste.
Sebbene quest’ultimo desiderio non si sia concretizzato, Le Corbu sarebbe stato felice, forse, di sapere che la piazza antistante il palazzo è ampiamente utilizzata per combattutissimi match di cricket.
Per le residenze Le Corbusier immaginò edifici alti e un uso misto degli spazi, ma a causa anche di limitazioni finanziarie, la città fu sviluppata principalmente con edifici bassi, la cui progettazione venne peraltro affidata ai soli Jeanneret, Fry, and Drew, collaboratori di Le Corbusier; e quest’ultimo non prese bene la cosa. Sentendosi tradito, modificò il masterplan inserendo delle colline artificiali tra il campidoglio e il resto delle zone residenziali cittadine, che non dovevano esser visibili dagli edifici da lui progettati. Col senno di poi, visto il rapidissimo sviluppo cittadino, l’introduzione di edifici più alti nel masterplan avrebbe permesso un migliore sviluppo cittadino, con una maggiore densità di popolazione e un minore uso del suolo.
Oggi, infatti, Chandigarh deve bilanciare la conservazione del suo patrimonio architettonico con la necessità di modernizzare le infrastrutture e rispondere alla crescente domanda abitativa, anche con un dibattito, appunto, sulla possibilità di realizzare edifici più alti e nuove politiche sulla gestione degli appartamenti. Coniugare conservazione e sviluppo sarà forse la chiave per il futuro di Chandigarh, che secondo le amministrazioni attuali diventerà nel 2030 la prima città in India carbon neutral.
Cover photo credits: © Roberto Conte