Uno tra i tanti limiti della mente umana è quello di voler spesso settorializzare: pensare, osservare e agire per compagini sempre ben definite da limiti funzionali o logici.
Esempio pratico: lo spazio è visto come una scatola che accoglie determinate funzioni vitali: l’ufficio serve per lavorare, il ristorante per mangiare, il pub per divertirsi, la piazza per incontrarsi, il museo per acculturarsi e così via.
Vediamo dunque la nostra realtà come dei micro o macro-poli funzionali collegati da linee che sono i link per raggiungere questi cluster in cui svolgiamo le nostre attività.
Quelle che ho chiamato linee sono banalmente i mezzi fisici utili per spostarci tra queste bolle che costituiscono la nostra quotidianità. Durante gli ultimi anni, col Covid e con le nuove modalità di vita a cui ci siamo approcciati, abbiamo imparato che quelle bolle sono esplose e si sono rimescolate variando le loro funzioni “primordiali”.
Prima di questo boom però un’altra bolla era già scoppiata, più strana e particolare, perché esplodendo si è mescolata a quelle linee, i link di cui parlavo sopra, mutando la sua stessa natura di “mezzo” e diventando essa stessa funzione.
Le linee di cui parlo si chiamano Stazioni metropolitane dell’arte, nate come servizio di trasporto pubblico e sotterraneo ma a stampo museale.
Un connubio (o un contrasto, se così vogliamo chiamarlo) molto stridente quello tra una linea metropolitana, indice per sua natura di velocità coi suoi flussi ininterrotti di gente, e un complesso museale che invece ci restituisce un’immagine di stasi e tranquillità (una bolla funzionale, così come l’abbiamo chiamata sopra).
Già negli anni Novanta a Napoli questo pensiero si faceva strada con una veste indiscutibilmente rivoluzionaria, nell’ottica sia di potenziare il sistema infrastrutturale, sia di riqualificare in chiave artistica il tessuto della città.
Il progetto delle Stazioni dell’arte di Napoli nasce proprio nel 1995 per iniziativa del sindaco e del presidente dei trasporti pubblici di quegli anni.
Da allora ad oggi sono più di venti le stazioni realizzate, dalla linea 1 alla linea 6, che vale la pena visitare ed inserire nel circuito artistico e turistico del capoluogo partenopeo.
Tra le più rinomate credo che tutti conosciate, anche solo per sentito dire, la Stazione Toledo sulla linea 1, progetto dell’architetto Oscar Tusquets Blanca. La Stazione venne realizzata con gli indimenticabili mosaici di William Kentridge, che dal piano strada ci accompagnano verso il percorso sotterraneo rimanendo a illuminarci e brillare sopra la nostra testa.

A luglio 2024 è stata inaugurata la Stazione Chiaia sulla linea 6, ad opera dell’architetto Umberto Siola con il progetto artistico dello sceneggiatore e regista Greenaway; è un percorso itinerante tra le divinità greche a sviluppo ascendentale. Di stampo neo-razionalista nell’involucro interno, è sormontata da una cupola vitrea che permette alla luce di attraversare l’intero percorso come a simboleggiare una costante e infinita connessione tra la Napoli sotterranea e la città urbanizzata.

Anche la Stazione San Pasquale è stata completata la scorsa estate; si sviluppa sempre sulla linea 6 ed è il connubio del progetto architettonico dell’architetto Boris Podrecca e delle influenze della digital-art di Peter Kogler che firma le opere pannellate con texture marine che si trovano sui muri laterali. L’intervento ha contribuito a rivalorizzare tutta l’area circostante con un progetto di arredo urbano in continuità con quello metropolitano.

Completa il trio delle stazioni inaugurate nel 2024 la Stazione Arco Mirelli, integrata nel complesso monumentale della Villa di Napoli. Il padiglione d’ingresso è realizzato in stile liberty e contribuisce a filtrare la luce naturale fino ai sotterranei.


Anche l’architetta Gae Aulenti ha preso parte a questo grande e tortuoso progetto diffuso, dando ben due contributi architettonici: nel 2001 viene inaugurata la Stazione Museo sulla linea 1. Il padiglione in calcestruzzo, vetro e acciaio è un vero e proprio spazio museale che ospita le riproduzioni di opere custodite nel Museo Archeologico Nazionale limitrofo.


Nel 2002 viene invece inaugurato il secondo progetto dell’architetta, la Stazione Dante, che ospita opere di alcuni dei protagonisti delle correnti artistiche della seconda metà del secolo scorso. La complessa opera si inserisce nel contesto storico della piazza omonima del Vanvitelli con un intervento migliorativo e conservativo della stessa.


Le fermate Museo e Dante sono state le prime due fermate ad essere state inaugurate dando vita concreta al progetto delle Stazioni dell’arte. Per la prima volta in queste due stazioni avviene la vera interazione con l’arte pubblica: architettura ed arte non sono più solo “involucro” ma diventano parte attiva di uno spazio in divenire; questo ideale fa delle Stazioni dell’arte di Napoli un vero e proprio progetto rivoluzionario sia a livello urbano che dei nostri schemi mentali.
A completare il circuito d’arte sotterraneo, quest’anno è stato inaugurato il progetto della nuova linea 7 di Napoli che vede come epicentro la grande stazione metropolitana Monte Sant’Angelo, su progetto di Anish Kapoor.
Affidata alla società Webuild, come la gran parte delle Stazioni del circuito dell’arte di Napoli, l’installazione è un gigantesco monumento urbano tanto imponente quanto introverso, che sviluppa la sua logica portando dall’esterno all’interno la prospettiva e la visuale, tanto da esser stato paragonato ad un imbuto rovesciato.
Il concetto di opera d’arte totale qui raggiunge il suo massimo esponenziale imponendosi come progetto a scala urbana che assorbe il luogo, rovesciandone la percezione dello spazio.



Napoli continua a manifestare quest’attenzione innovativa ma sempre presente sul sistema dei trasporti pubblici, mai dimenticando il suo passato, la sua storia e i suoi sotterranei.
Cover photo credits: © raffaele manfredonia
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