Si inaugura al pubblico il 22 Maggio, fino al 21 Novembre 2021, la Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. 112 i partecipanti alla mostra, provenienti da 46 diversi stati.
Quest’anno il titolo e il tema della manifestazione, curata dall’Architetto libanese e docente del Massachusetts Institute of Technology Hashim Sarki, è “How will we live together?”, cioè: “Come vivremo insieme?”
Per niente retorica o banale la domanda, considerata la criticità che stiamo vivendo a causa dell’emergenza sanitaria nell’intero pianeta. È la Biennale delle risposte alle urgenze (politiche, sociali, sanitarie, economiche, climatiche…) della nostra epoca: oggi più che mai l’Architettura è tenuta a ripensare gli spazi quotidiani, le città, i piccoli centri urbani e le periferie, in conseguenza degli inevitabili cambiamenti a cui il nostro modo di vivere è sottoposto.

Il tema centrale “How will we live together?” viene, infatti, a sua volta scomposto in cinque grandi argomenti che affrontano e rispondono al tema della convivenza: cioè del vivere insieme.
Among Diverse Beings: insieme ma come singolo, capace di connettersi (virtualmente o realmente) agli altri, contrastando il crescente individualismo;
As New Households:insieme come nuclei familiari “alla ricerca di spazi abitativi più diversificati e dignitosi”;
As Emerging Communities: insieme come comunità emergenti, lottando contro le disuguaglianze e l’emarginazione sociale;
Across Borders: insieme abbattendo i confini politici e geografici, costruendo nuove identità comuni;
As One Planet: insieme come pianeta, l’unico che possediamo e dobbiamo salvaguardare dai cambiamenti climatici, attraverso un’azione comune e globale.
I primi due argomenti saranno sviluppati e visibili all’Arsenale, mentre Across Borders e As One Planet ai Giardini della Biennale.

Se ne deduce dunque che sarà una Biennale incentrata sulla coesistenza, proprio in un periodo storico in cui convivere e condividere risulta essere più un privilegio che una priorità.
Molti altri saranno anche i progetti fuori concorso, tra cui Stations + Co-Habitats analisi delle cinque  tematiche sopra citate, tramite casi studio, a cui hanno lavorato le più grandi università del mondo: l’ETH di Zurigo, l’Harvard University, la Scuola Tecnica Superiore di Architettura di Madrid, l’IUAV di Venezia, la Columbia University, Hong Kong University e tante altre, con la collaborazione di sociologi, scienziati, politici, storici . . . Inoltre, parallelamente a “How will we live together?” allestita a Forte Marghera (fortezza ottocentesca appena fuori dal centro di Venezia), ci sarà “How will we play together?”: mostra dedicata al gioco, ai più piccoli e aperta a tutta la città.

Il padiglione Italia, visibile all’Arsenale e curato dall’Architetto Alessandro Melis, si intitola Comunità resilienti e avrà al centro il tema della crisi ambientale e le relative conseguenze sulla salute, sul clima e sulla società. Lo strumento progettuale utilizzato sarà il practice-based research , ossia la pratica (dell’Architettura) basata sulla ricerca, in cui il lavoro dell’Architetto si costruisce sul legame stretto con l’innovazione, atta a ridurre l’impatto sull’ambiente delle nostre modalità di costruire le città.
È una Biennale particolarmente speciale per gli architetti, soprattutto i giovani, perché tenuti (anche nel loro piccolo) a rivedere e concepire nuovi strumenti per risolvere nuovi problemi, che costantemente siamo tenuti ad affrontare. Forte è la responsabilità che viene loro assegnata, perché importante è il ruolo che essi oggi rivestono all’interno della società.

Questa Biennale vedrà anche premiare, con il Leone d’Oro speciale alla Memoria, Lina Bo Bardi (1914- 1992): architetto, designer, giornalista e scenografa italiana, naturalizzata brasiliana.
Vissuta tra i “due mondi”: l’Europa (in Italia) e il Sud America (in Brasile). È stata una delle grandi protagoniste dell’Architettura del ‘900 ma, come spesso succede alle grandi personalità, probabilmente non fu mai abbastanza apprezzata in vita, e molto rivalutata negli ultimi anni, a seguito della sua morte.

In Brasile, dove si trasferirà nel 1946, inizierà l’ascesa della sua carriera e da lì non farà più ritorno in Italia, pur rimanendone sempre legata da grande sentimento di appartenenza. In quel paese lontano, che ancora oggi la venera, progetterà le sue opere più celebri, negli “anni d’oro” dell’architettura moderna.
Il primo, il Museu de Arte de São Paulo (1957 – 1969), è un monumentale parallelepipedo in vetro, sospeso da due grandi travi in calcestruzzo colorate di rosso, che crea alla sua base una bellissima piazza pubblica, concepita come dono alla città. Ad oggi, nonostante siano trascorsi 50 anni, è ancora un’architettura iconica di San Paolo.
Nel 1951 porta a termine la sua abitazione, Casa de vidro, alla periferia di San Paolo, al limitare della foresta tropicale: un volume di vetro sospeso su pilotis, totalmente trasparente e leggero, in cui l’interno si congiunge con la natura selvaggia. 
Di tutt’altra natura e aspetto invece SESC Fábrica Pompeia (1977 – 1986), che incarna molti dei caratteri tipologici dell’Architettura brutalista: il cemento a vista e i volumi rigorosi.
Lina fu anche scenografa e come tale curò gli allestimenti di tutti i musei e spazi collettivi da lei progettati. Talentuosa anche come designer: famosa e iconica è, per esempio, la sua Bowl Chair (1951),disegnata per Arper ed esposta anche al MoMa di New York.

Hashim Sarki, tra le motivazioni del premio, dichiara: “La sua carriera di progettista, editor, curatrice e attivista ci ricorda il ruolo dell’architetto come coordinatore nonché, aspetto importante, come creatore di visioni collettive. Lina Bo Bardi incarna inoltre la tenacia dell’architetto in tempi difficili, siano essi caratterizzati da guerre, conflitti politici o immigrazione, e la sua capacità di conservare creatività, generosità e ottimismo in ogni circostanza”.
Lina Bo Bardi è stata una donna anticonvenzionale sia nella vita che nella carriera, mai legata formalmente a nessuna corrente o movimento, pur apprezzando il lavoro dei suoi colleghi coetanei del vecchio continente, riuscendo ad essere sempre innovativa e sorprendente. Ha progettato in maniera libera, ritagliandosi un ruolo importante all’interno del panorama architettonico mondiale del suo tempo, che poco spazio lasciava alle donne architetto.
Forte è stato il suo impegno sociale, così come l’importanza che ha sempre attribuito alle necessità dell’uomo e della collettività, riuscendo a superare le convenzioni e a rispondere alle esigenze dell’epoca e del suo periodo storico.
Oggi più che mai  il Leone d’Oro speciale è centrato sul tema di questa edizione “How will we live together?”: nessuno meglio di Lina Bo Bardi è riuscita a far convivere, da emigrante, due mondi e due culture dentro di sé e nelle sue opere, a rappresentare il ruolo dell’Architetto nella sua massima accezione,  cercando sempre di abbattere qualsiasi diseguaglianza sociale, attraverso la condivisione degli spazi  progettati, realizzati e “regalati” alla storia.