Dopo un’intensa estate, torno a parlarvi di luoghi per la musica, raccontandovi un altro edificio progettato da Santiago Calatrava, di cui vi abbiamo già visto l’auditorium Adán Martín di Tenerife, con l’articolo d’esordio di questo ciclo tematico.
L’edificio in questione è il Palau de les Arts Reina Sofía o Palacio de las Artes Reina Sofía, a seconda che lo si voglia dire alla valenciana o in spagnolo, l’ultimo realizzato per la Città delle Arti e delle Scienze, una vera e propria città nella città di Valencia.
Il quartiere, probabilmente la principale meta moderna del turismo valenciano, nasce sul vecchio letto del fiume Turia dopo una gestazione alquanto lunga e complessa, iniziata nel 1989, quando la Comunità Valenciana concepì l’idea di realizzare la “Città della Scienza e delle Comunicazioni” di Valencia e decise di affidarne il progetto al più celebre architetto valenciano, Santiago Calatrava. Questo complesso di edifici doveva contenere un planetario, un museo delle scienze e una torre per le comunicazioni.
Ma quando ci sono di mezzo tanti soldi e tanta visibilità, le cose spesso prendono strade tortuose. E così, a seguito dell’alternarsi delle maggioranze governative, vennero modificati sostanzialmente il budget, che lievitò parecchio, e il progetto funzionale, con l’introduzione del museo oceanografico e la sostituzione della torre di trasmissione con un teatro d’opera, il Palau de les Arts Reina Sofìa, appunto. Il progetto cambiò anche il nome, prendendo quello per cui è conosciuto oggi, la Ciutat de les Arts i les Ciències. E, se l’Hemisfèric, il planetario, aprì le porte al pubblico nel 1998, bisognerà attendere il 2005 per vedere inaugurato il Palau.
Il guscio metallico lenticolare che sovrasta l’edificio è sicuramente il suo elemento più caratteristico e con i suoi 75 metri di altezza rende l’edificio il più alto teatro d’opera del mondo. Esso poggia solo ad un’estremità e in un punto intermedio, lasciando a sbalzo una parte che fluttua sul suolo all’altra estremità. All’interno del guscio è racchiuso un fittissimo programma funzionale, con ben quattro sale per spettacoli e numerosi servizi annessi.
La Sala Principal con circa 1500 posti a sedere e quattro ordini di palchi, viene utilizzata principalmente per le rappresentazioni operistiche: il suo ampio palcoscenico permette di ospitare le scenografie di almeno due opere contemporaneamente.
L’Auditorio, anch’esso con una capacità di circa 1500 spettatori viene utilizzato principalmente per concerti sinfonici, congressi e spettacoli, nonché proiezioni cinematografiche, e accanto a esso si estendono delle terrazze ricche di palme e vegetazione.
L’Aula Magistral, con una capienza di circa 400 persone viene utilizzata per eventi più intimi, recital musicali, tavole rotonde e conferenze.
Situato nella parte più bassa dell’edificio, il Teatre Martin i Soler può ospitare fino a 400 spettatori e viene utilizzato principalmente per l’esecuzione di concerti di musica antica e di musica da camera in genere.
Diversi elementi accomunano i due teatri, quello di Tenerife e quello di Valencia, progettati da Calatrava, non solo architettonicamente. Da un punto di vista formale il virtuosismo della copertura fluttuante, il bianco del cemento armato saltano all’occhio come elementi comuni. Da un punto di vista funzionale, in entrambi gli edifici vengono inseriti spazi funzionali direttamente a servizio della comunità cittadina, che rendono l’edificio vivo e vissuto da tutti anche in assenza di spettacoli. E, infine, come pare sia inevitabile per gli edifici progettati dallo studio di Calatrava, i due teatri condividono anche una buona dose di critiche, sebbene il Palau abbia subito colpi molto più duri del cugino canario.
A Valencia, infatti, a soli otto anni dall’inaugurazione, è stato rimosso l’intero rivestimento in trencadis, i frammenti ceramici utilizzati dall’architetto anche a Tenerife, che ormai stava cedendo perdendo pericolosamente pezzi, con un cospicuo dispendio di risorse, dovute anche alla temporanea chiusura del teatro. L’errore pare essere stato commesso a livello progettuale, in quanto i trencadis erano incollati direttamente sulla copertura metallica e i diversi coefficienti di dilatazione termica avrebbero avuto un ruolo fondamentale nel loro distaccamento della struttura. Ciò spiegherebbe, probabilmente, come mai lo stesso destino non sia toccato al rivestimento utilizzato a Tenerife, applicato invece sul calcestruzzo armato. Ma anche qui, comunque, alcuni problemi si sono verificati dal 2018, quindici anni dopo l’inaugurazione, con il distaccamento di alcuni trencadis e infiltrazioni di umidità, secondo il Cabildo per “vizi nascosti”.
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