Specie dall’inizio del lockdown, molti architetti e addetti al settore si sono prodigati per far sapere al mondo politico e ai governi che per scongiurare nuove epidemie e garantire un migliore stile di vita alle persone l’architettura non può essere trascurata. Anzi, per sua stessa natura di disciplina organizzatrice dello spazio, deve necessariamente essere considerata entro qualsiasi discorso economico e sanitario. Si pensi alla Parigi dei boulevards e alla Barcellona delle manzanas (isolati) a maglia quadrata: esse nascono in pieno ‘800 per far fronte, principalmente, a epidemie e insalubrità generale delle pittoresche città medievali fatte di stradine.
Solo per citare alcuni tra i più celebri architetti italiani: da un lato, Massimiliano Fuksas e lo studio Archea hanno sottolineato l’importanza, secondo loro, di dotare le case di un kit di pronto soccorso (dal termometro all’attacco dell’erogatore dell’ossigeno) e inserire, nei caseggiati, ampi spazi comuni; da un altro lato Stefano Boeri ribadisce ancora una volta come i combustibili fossili debbano lasciare del tutto le città e la necessità di avere parchi e boschi (meglio orizzontali, per me), fino a vedere il futuro italiano nei piccoli borghi.
Potrà davvero un evento così eccezionale e raro cambiare radicalmente le abitudini, la cultura e la politica dell’abitare? Di fronte a questa domanda l’unica risposta che so darmi è che forse molto dipende da quanto andrà avanti lo stato d’emergenza e se dovremo continuare a convivere con questo virus. E mi vengono in mente anche tutte le possibili controindicazioni di una radicale modifica delle abitazioni e delle città. Cosa succederebbe se i regolamenti edilizi imponessero davvero l’installazione di un kit di pronto soccorso in ogni casa o l’adeguamento delle case esistenti? Cosa succederebbe se tutte le case dovessero avere un balcone? Nella citata Parigi ottocentesca, i lavori effettuati, seppur mossi da alti ideali sociali, crearono grandi squilibri nella distribuzione della popolazione. Dove vennero effettuati i lavori di ristrutturazione, i prezzi degli affitti salirono, costringendo le famiglie povere ad andare a vivere nei quartieri di periferia o a concentrarsi in quelli non ristrutturati. Dove regna il libero mercato nell’edilizia, un evento simile non risulterebbe strano.
Mentre le archistar si pronunciavano ai giornali su temi legati all’architettura e al Covid-19, diverse sono state le iniziative nate per aprire un confronto e un dialogo sulla casa e sulla città, argomenti spesso distanti dalle riflessioni dei non addetti ai lavori, seppur appartenenti alla quotidianità di tutti.
In una di queste iniziative mi ci sono trovato, e mi ci trovo, anch’io, coinvolto da alcuni amici e colleghi architetti e ingegneri. Siamo diventati, a fianco delle nostre vite ordinarie, gli impermeabili, un gruppo di persone (progettisti) che ha deciso di aprirsi agli altri, tramite social network e dirette YouTube, per avviare un confronto diretto e continuo sui temi legati all’architettura e alla socialità.
Data l’importanza dell’apertura per noi, abbiamo coinvolto e cercheremo di coinvolgere anche altre realtà e iniziative che con Gli impermeabili sentono affinità e che vogliono partecipare a questo confronto. È il caso della pagina di Facebook e Instagram Alvar Aaltissimo che, a detta dell’autore, Fabrizio Esposito, mescola “meme” e architettura (anche se io preferisco chiamarla “satira architettonica”). Seppur esistente da qualche anno, Alvar Aaltissimo (superlativo assoluto dell’architetto e designer finlandese Alvar Aalto) ha spopolato con il suo piano di salvataggio dell’estate, in risposta alle idee per delle spiagge sicure, più o meno bizzarre, proposte da aziende e progettisti, spesso bocciate dalla voce del web.
E ancora, è il caso della pagina Facebook e Instagram riaVVicinato, che con i suoi collage ridisegna gli spazi secondari e di risulta (cortili, tetti, patii), fantasticando su come potrebbe evolvere l’attuale consolidamento della comunità di vicinato che, appunto, si riavvicina durante il distanziamento sociale.
Un confronto, quello sull’architettura così caro a noi impermeabili, necessario oggi più di ieri, anche per contribuire alla creazione di una coscienza critica comune sull’influenza che i luoghi in cui viviamo hanno sulle nostre vite; forse solo per riflettere, forse per non farsi ingannare da alcuni personaggi, siano essi architetti o politici, affinché i possibili cambiamenti che ci saranno durante e dopo il Covid-19 tengano realmente conto delle necessità di tutti i cittadini.
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