Ce la ricorderemo, l’estate torrida del 2022. Un’estate bollente, con temperature mai percepite così elevate in molte zone d’Italia e del mondo, alle quali non eravamo abituati e che ci hanno spinti a modificare in qualche modo il nostro stile di vita.
Un’estate rosso arancio; il colore – quello di Marte, il pianeta rosso – evoca, solo a guardarlo, la temperatura rovente di un astro che per questo abbiamo sempre immaginato non potesse ospitare alcuna forma di vita. È il colore dei campi da tennis in terra rossa o delle piste di atletica che alcuni di noi frequentano tuttora, ma che molti associano al lontano ricordo di pomeriggi lenti e assolati che costellavano le estati della nostra adolescenza.
Una domanda sorge spontanea: perché definiamo rosse cose che, a ben vedere, rosse non sono?Constatiamo, così, che spesso il colore è delineato in maniera approssimativa dall’aggettivo che lo qualifica: gatto rosso, capelli rossi, rosso come il fuoco – ma anche, ugualmente, vino bianco e uva nera – ricavandone la certezza che il lessico che utilizziamo, per quanto ricco e apparentemente appropriato, sia assolutamente insufficiente, impreciso e incompleto per definire con accuratezza la variabilità e l’inafferrabilità del colore.
Ispirandomi a quest’estate, la tinta che ho in mente è incandescente come gli incendi che hanno costellato parecchie regioni del mondo, soffocante come l’aridità che ne ha prosciugato la terra, dura come i muri di mattone cotto, che necessitano di uno strato di calce per smorzare l’effetto immediato che causa in noi la visione del loro colore ardente sotto la luce, quando questo coincide con il clima caldo del luogo che li ospita: Siracusa, Otranto, Lecce, Santorini sono soltanto alcuni esempi di architettura mediterranea caratterizzata dal colore bianco delle pareti esterne degli edifici. Proviamo a immaginare come muterebbero quei paesaggi se le case fossero tinteggiate di giallo Napoli, color ocra o mattone: il clima cromatico del luogo perderebbe la sua freschezza e la temperatura all’interno delle case aumenterebbe notevolmente.
È inutile ricordare un’ennesima volta che il colore dell’ambiente che ci circonda – caldo o freddo che sia – può influenzare di qualche grado la percezione che abbiamo della sua temperatura.
Per Johannes Itten – pittore e designer svizzero noto, più che attraverso le opere, per gli studi compiuti sul colore – il contrasto polare fra caldo e freddo è espresso dall’antitesi rosso arancio e blu verde: è come se mettessimo a confronto l’immagine del suolo di Marte, o di un deserto all’imbrunire, con quella delle acque cristalline della Sardegna o di un iceberg che si erge fra i ghiacci: caldo cocente in opposizione a gelo glaciale.
Molti di noi, questa estate, per attutire la calura – anche quella che percepiamo attraverso gli occhi e il cervello – ha preferito immergersi nell’infinita varietà di verde naturale che offrono i paesaggi montani, invece di circondarsi di ocre rosse, dorate o infiammate, proprie dei torridi luoghi mediterranei. Non c’è dubbio: un ambiente i cui colori evocano serenità e freschezza è un ottimo antidoto all’afa insostenibile dell’agosto appena terminato.
La vitalità e l’allegria che connotano l’arancione sono direttamente proporzionali alla sua leggerezza: puro, luminoso e sfavillante, si appesantisce quando – perdendo limpidezza – appare grave, sbiadito e terreo, trasformandosi in marrone: dal colore della nota bibita all’arancia, che trasmette spensieratezza e superficialità allo stato puro, alle varie sfumature di bruno la distanza è enorme. Sono caratteristiche del colore marrone, infatti, il genuino attaccamento alle tradizioni ma anche – all’opposto – il gravitare nella mediocrità, navigando a vista all’interno di una scontata comfort-zone o l’idea, incompiuta, di scandagliare le profondità che intuiamo esistere al di sotto della dimensione quotidiana di ogni nostra singola storia.
Ripensando alla Biennale di Architettura 2021 ormai conclusa, scopriamo che il rosso arancio riesce ad assumere, schiarito e attenuato, connotati più dolci. L’installazione City to Dust – realizzata dallo Studio LA, in collaborazione con Baukje Trennin – ne è stata la dimostrazione. L’intento era quello di ricordare al visitatore la fragilità di luoghi storici martoriati dall’impatto negativo del turismo di massa, che li aggredisce e li deturpa con pericolosa inconsapevolezza o noncuranza.
L’opera consisteva essenzialmente nella pavimentazione alla veneziana, sulla quale era raffigurata la pianta stessa della città di Venezia, che lastricava un grande ambiente vuoto. Attraversare la sala era un’impresa per i visitatori, costretti a prestare la massima attenzione a dove mettere i piedi: il pavimento cedeva, il materiale si sbriciolava ad ogni passo sbagliato, mostrando in maniera inequivocabile il peso della responsabilità individuale sulla degenerazione dell’ambiente.
Camminando, si procedeva su una laguna di un rosato e tenue color terracotta, su cui si stagliava l’isola, rappresentata in un tono più intenso e profondo, materno, accogliente, umano. Non si trattava, ovviamente, di un rosa banale né superficiale, bensì di un colore capace di evocare l’uomo e le sue opere, sottolineandone le fragilità. Conosciamo perfettamente gli stereotipi che connettono il colore rosa a una femminilità dolce, romantica e soave, o oltraggiosamente poco profonda… ma questa è davvero un’altra storia.
Arancione bucherellato, a paratia di protezione delle zone di insediamento della TAV .
Risulta leggero ed attraente e interrompe la monotonia del viaggio di chi lo vede dall’esterno.
Arancione bucherellato, sinonimo di curiosita’ per cio’ che racchiude, ma che sparira’ a lavori finiti.