Porta Venezia è il quartiere di Milano che più ho nel cuore, essendo stato il primo dove ho vissuto. Probabilmente il più eclettico in città, a cavallo tra passato e presente, multietnico e multiculturale, centro principale della comunità LGBT di Milano.

Casa mia era un bilocale abbastanza bohémien in via Frisi, al numero 3. Aveva la “finestra” del bagno affacciata sulla cucina e la struttura in legno e traballante, cosicché le bottiglie di pessimo vino accumulate in cima alla credenza e al frigo regalavano un piacevolissimo e ritmico tintinnio alla mia già scarsa privacy quando ero in compagnia della mia ex ragazza. In camera la mia coinquilina rideva e io, ovviamente, la sentivo.

Quando ormai non avevo più la ragazza, il quartiere, con i suoi bellissimi edifici liberty, mi forniva ottime opportunità per far colpo sulle ragazze con cui volevo provarci. Il tour prevedeva più o meno sempre le stesse tappe: si cominciava con una birretta, spesso al bar Picchio, ormai punto di ritrovo storico di Porta Venezia; si proseguiva con un tour degli edifici liberty, specialmente quelli di via Malpighi, come Casa Guazzoni e Casa Galimberti, e poi quelli verso Corso Venezia, dove si trova il mio preferito di sempre: Palazzo Berri-Meregalli. Penultima tappa del giro: Villa Invernizzi (sì, proprio quello dei formaggi!), in cui si possono ammirare questi bellissimi animali che mi hanno sempre messo di buon umore e, tutto sommato, mi hanno sempre dato una mano a condurre le ragazze verso l’ultima tappa del tour: casa mia.
Un altro capolavoro in stile Art Déco è rappresentato dall’Albergo Diurno Venezia, situato al di sotto di Piazza Oberdan. L’Albergo Diurno, dopo la sua definitiva chiusura nel 2006, è affidato in concessione al FAI, che periodicamente organizza delle visite. L’albergo, che ospitava servizi al cittadino, dalle terme ai locali dei parrucchieri, era stato progettato per la maggior parte dall’architetto Piero Portaluppi, che a Porta Venezia realizzò anche altri dei suoi interventi più riusciti: tra tutti, villa Necchi-Campiglio, capolavoro situato in via Mozart, anch’essa gestita dal FAI.
Nella zona di via Lazzaro Palazzi c’è invece una stabile comunità eritrea, un caso abbastanza eccezionale di comunità straniera, se si escludono le comunità cinesi, tant’è che la zona si è meritata il nome di Asmarina, la piccola Asmara, capitale dell’Eritrea. Dopo ormai tre generazioni di insediati (potremmo far risalire la prima vera ondata migratoria ai primi anni degli anni ’70, durante la guerra di indipendenza dall’Etiopia), i numerosi ristoranti eritrei in zona sono frequentati in maggioranza da italiani e anche alcuni locali notturni sono dei punti fissi della night life del quartiere.

Porta Venezia è diventato anche il quartiere LGBT per eccellenza a Milano, ereditando il primato della via Sammartini. I numerosi locali gay e gay-friendly abbondano e, non a caso, la sfilata del gay pride coinvolge solitamente la zona, con la sfilata lungo corso Buenos Aires e con gli eventi nella zona di via Lecco, vera e propria rainbow street di Milano. Proprio in occasione di un gay pride, quello del 2018, Netflix aveva avviato una campagna pubblicitaria nella fermata della metro di Porta Venezia riempiendola di arcobaleni, vessillo della cultura LGBT. Nonostante alcune questioni commerciali legate al cambio di sponsor, l’arcobaleno è rimasto anche dopo la campagna pubblicitaria, resistendo anche alle critiche del popolo della famiglia e del suo leader Mario Adinolfi, al quale arrivò un bellissimo tweet da parte dell’assessore all’urbanistica Maran (andatelo a cercare!)
L’arrivo dei primi locali gay nella zona sembra coincidere anche con l’inizio della sua trasformazione in un quartiere chic e qualcuno direbbe che i due fenomeni sono collegati. Può darsi, basti pensare alla storia di Castro, quartiere gay storico di San Francisco, e la sua trasformazione (guardate il film Milk con Sean Penn).

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