La stazione di Milano Centrale è una delle più grandi d’Italia e d’Europa per importanza e flussi; il progetto, a impatto fortemente monumentale, di Ulisse Stacchini permette a chiunque vi entri di rimanerne estasiato.  

La prima, grande e lampante particolarità della stazione è quella di svilupparsi secondo un impianto differente: il piano strada inizialmente nasce come luogo di movimentazione per la preparazione dei binari di trasporto merci e postale; per arrivare ai binari passeggeri, 24 in tutto, alla stazione Centrale di Milano si sale, la sontuosa scalinata che tutti conosciamo.
La seconda particolarità, non per importanza, è che durante il periodo della Seconda guerra mondiale, tra il 1943 e il 1945, essa è stata l’anticamera dello sterminio. Fu il luogo dove di flussi e passeggeri ne partivano veramente tanti, alcuni (ebrei e oppositori politici) però, purtroppo, diretti ad un viaggio senza ritorno.
Di 24 binari, il 21 è quello che oggi si ricorda sempre con un magone alla gola.

Oggi su quegli orrori sorge il Memoriale della Shoah di Milano, l’unico in Europa a nascere nello stesso luogo dove sono avvenute le atrocità.
È da qui che il 6 dicembre 1943 parte il primo convoglio di 169 prigionieri ebrei diretti ad Auschwitz – Birkenau. Del secondo convoglio, su 605 persone solo 22 tornarono vive, tra queste Liliana Segre, italiana, milanese ed ebrea. Ad oggi 20 sono in totale i viaggi accertati.
È Liliana Segre che fa realizzare all’ingresso del memoriale il Muro dell’Indifferenza. In memoria di quelle atrocità che non sono state mai ascoltate, perché è proprio quella la quintessenza del motivo per cui la Shoah è stata possibile: L’INDIFFERENZA.
L’accesso al memoriale avviene da dietro la stazione, in quel piano strada suddetto dove avveniva il trasporto posta e merci.

Ad accoglierci è proprio quel muro, dall’impatto duro e crudo che segna il percorso della visita. Lo spazio non è un museo, è un luogo della memoria, dove il silenzio cupo e pensieroso si alterna al rumore sovrastante dei treni in partenza o in arrivo. Questa sensazione ci fa percepire l’isolamento, l’eco sordo della sofferenza, un grido silenzioso di un dolore che nessuno ha sentito o voluto sentire.

Il memoriale nasce anche per essere luogo di scambi attivi, centro polifunzionale per incontri, dibattiti, mostre, “luogo dove creare occasioni di dialogo e di confronto fra le culture, affinché la barbarie del XX secolo, che vide nella Shoah il segno del massimo degrado dell’umanità, non possa ripetersi”.

(Purtroppo, a questo punto mi viene in mente il film “L’onda”, che consiglio spassionatamente a tutti di guardare, un film pedagogico che ci mostra come l’uomo troppo spesso non impara dai suoi errori, e neanche da quelli dell’umanità intera.)

Proseguendo lungo la rampa che si avvolge attorno al muro dell’indifferenza arriviamo al piano rialzato, dove ci fermiamo per una breve video-proiezione; l’atmosfera è sempre molto cupa, le pareti sono in cemento grezzo, la luce è soffusa, continuiamo a camminare seguendo e immaginandoci l’ipotetico percorso dei prigionieri verso l’ignoto.

Ci troviamo davanti una banchina con dei vagoni, li guardiamo e sembrano proprio dei carri bestiame e in realtà lo erano; purtroppo, però dal 1943 quei vagoni hanno cominciato a vedervi stipati dentro i “passeggeri”. Qui, una volta ammassate 70/80 persone, i vagoni venivano posizionati su un carrello traslatore e messi su un ascensore monta vagoni che si sollevava verso la superficie della stazione, proprio in quel binario 21, si agganciava al convoglio e da lì cominciava “il viaggio”.

Noi quel vagone lo attraversiamo trasversalmente, ci entriamo dentro, lo superiamo e davanti a noi troviamo a terra le lapidi, di fronte il “Muro dei nomi”: 774 nomi di ebrei relativi ai soli primi due viaggi; in bianco i nomi di chi non ha mai più fatto ritorno, i nomi in marroncino sono 27, sono i sopravvissuti, di cui oggi in vita c’è solo Liliana Segre.

Dopo questo percorso, introspettivo e straziante, è possibile sostare, riflettere, pregare nello spazio apposito denominato “Luogo di riflessione”.

Nel piano interrato si trova invece un auditorium, mentre è ancora in fase di realizzazione la biblioteca del memoriale.

Penso che ognuno di noi debba almeno una volta fare una visita al memoriale della Shoah di Milano, perché non può un articolo del genere esplicare tutto il marasma di emozioni che mi ha suscitato la visita. Posso solo dire che mi sono venute alla mente tante, troppe cose, una di queste è la citazione al libro di Hannah Arendt, la banalità del male:

“Il male non possiede né profondità, né una dimensione demoniaca.
Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie, come un fungo.
Esso sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato, perché non trova nulla.
Questa è la sua banalità.”

Da queste atrocità però, per fortuna, anche la storia ce lo ricorda, c’è chi la differenza l’ha fatta: “Chi salva una vita salva il mondo intero”, fu inciso sull’anello che Oskar Schindler ricevette in dono dai suoi operai.
Il percorso si conclude con queste parole della nostra guida “(…) Infatti per ogni giusto tra le nazioni viene piantato un albero, preferibilmente di carrubo, perché i suoi semi sono tutti uguali e hanno tutti lo stesso peso. Altrimenti un albero da frutto, perché le opere dei giusti danno sempre dei frutti.”
Io penso che anche la sola visita al Memoriale possa essere oggi considerata un’opera giusta, per provare a non dimenticare e a dare finalmente quella voce forte, chiara e meritata all’indifferenza.