

Alla biennale di architettura 2025 il tema delle installazioni presentate, comune alla maggioranza dei paesi partecipanti, è il cambiamento climatico, con l’intenzione di mostrare le conseguenze dirompenti sul pianeta e le contromisure che una progettazione adeguata può fornire per garantire all’essere umano una vita dignitosa, a prescindere dalle sfide cui faremo fronte.
Le possibilità di mitigazione sono molteplici e quelle – pragmatiche – proposte dalla Germania non lasciano spazio a illusioni sul futuro né a fantasie irrealizzabili; si tratta di proposte concrete legate al ruolo fondamentale dell’architettura e dell’urbanistica resilienti. Innanzitutto, l’installazione esibita pone lo spettatore di fronte alla realtà dei fatti, proiettando – su maxischermi pensati per la visione immersiva – un video che permette a chi osserva di essere circondato dalle immagini e profondamente coinvolto nel tema, scottante, del riscaldamento globale.
“La terra è blu… che meraviglia. È bellissima!” esclamò l’astronauta russoJurij Gagarin, il primo fra i pochi esseri umani a viaggiare nello spazio, compiendo un’orbita completa attorno alla terra sulla navicella Vostok 1, il 12 aprile 1961.

Visualizzarla da sei miliardi di chilometri di distanza, invece, è stato possibile a tutti. A trent’anni dall’impresa di Gagarin, il 14 febbraio del 1991 “The Pale Blue Dot” – il puntino azzurro pallido, “un granello di polvere sospeso in un raggio di sole” – rivela una visione inedita della Terra nella fotografia scattata dalla sonda Voyager 1. Anche qui il nostro pianeta, benché sbiadito, appare blu. Per due terzi della sua superficie, infatti, è coperto da oceani, oltre a contenere una grande quantità d’acqua nel suo mantello profondo. Andando oltre le ragioni scientifiche, poi, sin dai tempi dell’antico Egitto questo colore ha rappresentato l’infinito; trascendenza, profondità e pace vengono ricondotte al blu, che induce l’essere umano all’introspezione.
È stato lo scienziato Carl Sagan a chiedere di realizzare lo scatto e a riflettere profondamente sul significato culturale di quell’immagine: fragile e vulnerabile, il minuscolo punto blu è l’unica casa che abbiamo e va tutelato, perché non c’è alternativa. Non ci sarà un pianeta B su cui trovare rifugio, se saremo così stupidi da distruggerlo a causa delle “folli vanità umane”.
“Nella nostra oscurità, nella vastità dell’universo, non c’è alcuna indicazione sul fatto che possa giungerci, da altrove, un aiuto per salvarci da noi stessi. La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Che vi piaccia o meno […] la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. […] Questo sottolinea la responsabilità che abbiamo di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, di preservare e proteggere […] l’unica casa che abbiamo mai conosciuto“. (Carl Edward Sagan, astronomo, astrofisico, astrobiologo).

Tornando alla Biennale, al mio ingresso nel padiglione della Germania – alimentato dall’energia generata da pannelli solari e costruito prevedendo il recupero dei materiali utilizzati – sugli schermi giganti dinanzi ai quali mi accomodo appare un globo dorato: è un’immagine magica, attraente. Quando il “fuoco sacro” si dissolve, perdendo la sua brillantezza seducente, la sfera si colora di tinte pastello, permettendomi di distinguere i continenti e ricostruire la fisionomia nota del nostro Pianeta.


I colori si saturano rapidamente facendosi minacciosi, concreti e caldissimi. Il giallo non è più l’oro sfumato che ammaliava, bensì la rappresentazione di una terra malata, che dà prova delle sue disfunzioni e della temperatura in aumento. Le terre da giallo-arancio si tingono di un torrido rosso di Saturno, sfumato a seconda delle aree più o meno scottanti, più o meno invivibili. L’aria è puntinata di nero, un fluido grigio malsano che si fa sempre più sporco e copre tutto.
Il pavimento riflettente agisce da moltiplicatore del calore e delle sensazioni, che mi avvolgono come se stazionassi in una sauna ardente, mentre la raffigurazione geografica del globo vira verso un rosso profondo emotivamente inaccettabile: non si tratta di fiction, è la dura realtà del nostro bel pianeta che brucia.

La scelta delle tinte gioca un ruolo fondamentale nella rappresentazione delle temperature: dal giallo al rosso, passando per l’arancione, i colori riescono a descrivere, anche a seconda dell’intensità, gradi di calore più o meno roventi. La sperimentazione è realistica perché, attingendo dal vissuto umano, dal mondo del conscio e dall’inconscio, essi suscitano le emozioni e le sensazioni utili a comprendere l’urgenza di agire subito per arginare le inevitabili conseguenze e gli impatti che avranno sulla qualità della nostra vita. Agendo sul sistema nervoso autonomo, questa categoria di tinte attiva il sistema nervoso simpatico, responsabile della preparazione del corpo a situazioni di stress, regolando le reazioni fisiologiche che corrispondono alla risposta “combatti o fuggi”: liberazione di adrenalina, aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, dilatazione delle vie respiratorie.

La mostra, intitolata Stresstest, è ripartita in due sezioni, Stress e De-Stress. La prima, appena descritta, mi sottopone a un’esperienza – fisiologica e psicologica – di caldo estremo come raramente ho provato sulla mia pelle in condizioni simili, e di inquietudine. La seconda sezione, invece, presenta infografiche funzionalmente colorate, concepite per spiegare nei dettagli le misure da prendere e i livelli di “protezione” che le stesse potranno offrire. Uscendo dall’installazione Stress, affronto De-Stress nelle condizioni psicologiche adatte a cogliere con motivazione l’idea che pianificare città resilienti sia l’unica via d’uscita, avversando con forza lo scetticismo di chi nega i cambiamenti, incitando “Drill baby, drill!”.
“La terra è blu come un’arancia”, scriveva il surrealista Paul Eluard nel 1929, in un componimento dedicato a Gala, la sua musa. Per quella metafora destabilizzante e apparentemente assurda fra parola e referente, fra infinito e concreto, affidata alla potenza visiva di un contrasto complementare, il poeta non avrebbe mai immaginato di essere considerato – quasi un secolo più tardi – un preveggente, più realista del Re.
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