“Color del vino” – il sintagma che descrive il mare nell’Odissea – mi porta a constatare che la fenomenologia della realtà si scontra inevitabilmente con la lingua quando fra le due scopriamo ciò che appare una frattura, un’incongruenza, una dissonanza. Omero ed Euripide hanno usato più volte, per le acque del mare, la stessa rappresentazione cromatica, divergente dall’associazione diretta con il blu, che appartiene alla nostra cultura: per questo si è erroneamente ipotizzata, nel passato, la “cecità” dei greci antichi a quel colore, o meglio alla sensazione creata da quella specifica qualità della luce interpretata dal cervello umano come blu.
Fatichiamo ad accettare che un concetto noto si snodi su percorsi inconsueti e, quando una parola non esiste, siamo portati a credere – non sempre a ragione – all’assenza del significato che le corrisponde. Nel caso dei colori, è l’evoluzione del linguaggio a permettere di attribuire un nome ai messaggi cromatici: l’oftalmologo Hugo Magnus, però, ha dimostrato che l’inabilità a distinguere i colori da un punto di vista lessicale non provi necessariamente un’incapacità percettiva.

Definire culturalmente il colore significa creare un ponte fra il suo ruolo originario – permettere ai nostri sensi di apprendere la realtà – e quello culturale. In opposizione al pensiero relativista, una ricerca condotta su 98 popolazioni da Brent Berlin, antropologo, e Paul Kay, linguista, evidenziò – fra le altre cose – che bianco, nero e rosso sono sempre i primi tre colori a ricevere un nome e, così, ad essere riconosciuti nell’ambito culturale di una specifica popolazione.
Sono considerati, infatti, primari antropologici. Luce e oscurità, cielo e terra, giorno e notte, presenza e assenza: bianco e nero rappresentano la polarità che governa la vita dell’uomo fin dagli albori delle civiltà. Il rosso, il più umano di tutti i colori perché da sempre identificato dall’essere umano con il proprio stesso sangue, ma anche con il fuoco, completa la terna. Oltre a racchiudere significati spesso interconnessi, che trascendono le singole interpretazioni – come quelli associati a fasi di transizione, riti di passaggio, forze primordiali – a ognuno di essi sono simbolicamente legati concetti fondamentali e valori emozionali, sociali, religiosi e morali.
Sono colori associati all’alchimia, e li scopriamo radicati nei miti, nelle leggende e nelle favole tramandate di generazione in generazione.
Quanto al design, i colori vengono scelti per varie ragioni, fra cui funzione, ricerca di associazioni simboliche, presunte aspettative del mercato o gusto personale del progettista. È innegabile, però, che i due acromatici di base siano, insieme al rosso, i primi nell’elenco dei colori più scelti.

Alcuni oggetti di design – benché provvisti di una cartella colori più o meno vasta – sono strettamente connessi, nella nostra memoria, a uno solo di essi, che ha il potere di connotarli meglio delle alternative o di attribuire loro valenze importanti.

Per esempio, la sedia Box di Enzo Mari – prodotta da Castelli e in seguito da Driade – fornita smontata e inscatolata e perciò consona al bisogno di funzionalità e leggerezza proprio del tempo in cui fu concepita, nel 1976: è una struttura in metallo tubolare verniciato di grigio, con seduta e schienale in propilene, stampato a iniezione. Sebbene sia stata realizzata anche in colori vivaci, la versione bianca esprime rigore, semplicità e minimalismo, così come l’estetica nitida e acromatica la avvicina all’idea di classicità senza tempo, che alcuni pezzi di design meritano di conservare.

I piccoli componibili di Kartell 4970/84, progettati nel 1972 da Anna Castelli Ferrieri – funzionali, modulari e distintivi di un’epoca che celebrava la modernità – fanno parte della collezione permanente del MoMA di New York. Il bianco, qui, rende giustizia all’anima razionalista della designer e, in assenza di caratterizzazione e di decorazione superflua, valorizza la pulizia della forma a colonna.

Anch’essa annoverata tra gli oggetti esibiti al MoMA e alla Triennale di Milano per il suo design innovativo, la lampada da tavolo Snoopy, sorretta da una base in marmo di Carrara bianco, presenta una forma asimmetrica e inconsueta. Nella versione in cui il riflettore è verniciato di nero, simula iconicamente i colori del simpatico cane di Shultz, rispecchiando la giocosità e l’ironia dell’approccio di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, che la disegnarono nel 1967 per Flos.

Il bianco algido di alcuni prodotti e componenti Apple sottolinea senza bisogno di parole l’essenzialità dell’involucro e l’alta tecnologia contenuta, assumendo la forma perfetta di “uova del futuro”, candide e rigorose: sono oggetti per molti, ma non per tutti.

È nella versione in pelle nera più che in altre varianti, che Barcelona (del 1929, di Knoll dal 1953), la mitica poltrona disegnata da Ludwig Mies van der Rohe esprime la propria eleganza intrinseca, combinando l’uso di materiali d’alta qualità alla semplicità strutturale e alla razionale funzionalità che la contraddistinguono.


La notissima Moleskine si ispira ai leggendari taccuini in tela cerata acquistati a Parigi da Vincent Van Gogh, Frida Kahlo, Henry Matisse, Pablo Picasso, Ernest Hemingway e ai quaderni di viaggio di Bruce Chatwin. Nonostante oggi sia disponibile in vari colori, sarà per sempre “l’agenda nera”, con elastico in tinta e segnalibro a nastro. Il suo nero – sobrio e versatile, romantico e solido – rivela nostalgia, comunicando stile senza tempo.

Progettata nel 1969 da Ettore Sottsass e Perry King per Olivetti, anch’essa esposta al MoMA e alla Triennale, la macchina per scrivere portatile Valentine è sostanzialmente rosso fuoco e profondamente innovativa: la struttura in ABS la rende economica e leggerissima, centrando l’obiettivo di immettere sul mercato un oggetto facilmente fruibile, al passo con i tempi, da usare in ogni momento, in particolare fuori dalle quattro grigie mura dell’ufficio. La sua natura pop si manifesta nel colore: Valentine, informale, anticonformista e passionale, richiama l’attenzione quanto un semaforo rosso e mostra, sempre e dovunque, la propria energica, incontenibile personalità.
Cover Photo Credits ©Carla A. Bordini Bellandi
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