Il colore dell’anno 2026 di Pantone è ritenuto capace, dai creativi dell’azienda, di mitigare il clamore che ci circonda in questa epoca confusa e violenta. Indagando fra le scelte operate da chi analizza il lessico come termometro sociale, emerge che l’epoca attuale sia caratterizza da espressioni che la tratteggiano impietosamente: per Oxford University Press, il sintagma che meglio descrive il 2025 è rage bait, l’“innesco” utilizzato  dagli utenti per evocare sentimenti di rabbia o di angoscia nel mondo social, la miccia alla quale si da fuoco per appiccare un incendio che coinvolge la “famiglia digitale”, la provocazione che dà inizio a una discussione caotica, tanto inutile quanto deleteria. Parasocial, invece, è l’aggettivo individuato da Cambridge Dictionary per definire la relazione a senso unico che intercorre fra gli utenti dei social – noi, generalizzando all’eccesso – e un influencer, un personaggio anni luce distante dai propri seguaci, che viene idolatrato e del quale i follower – a lui totalmente estranei – conoscono ogni particolare.

© Erika Svensson

È evidente, il ritratto che si delinea della società, non lusinghiero, è strettamente legato all’abuso dei social media. Con fiducia, Enciclopedia Treccani ha preceduto Pantone, selezionando – al contrario – un termine che non raffigura la contemporaneità, bensì tenta di esorcizzarne i contenuti.
Cloud Dancer è un bianco etereo dal candore attutito, un colore acromatico che, secondo Pantone, è adeguato ai tempi incerti e burrascosi che fanno da sfondo alle nostre esistenze: è l’Alka-Seltzer che neutralizza acidi molesti, rappresenta la facoltà di non schierarsi, evitando di scegliere fra fazioni di colore opposto. È il fingere di non vedere il rosso che accende gli animi. Mentirei, però, se mi adeguassi a definire il bianco rilassante e amichevole, se gli attribuissi molte delle caratteristiche comunicate dai suoi creatori o, ancora, se non ritenessi la scelta un atto miope e conservatore. Le riflessioni che seguono, benché incomplete, racchiudono e esprimono i miei dubbi.

Film “Forza maggiore” Copyright 2023
© RB Casting

Nel film Forza Maggiore il regista Ruben Östlund usa il bianco fulgido della neve per dare corpo ai turbamenti di una coppia durante una vacanza in montagna con i figli. Le fragilità, il ribaltamento dei ruoli, il dubbio sugli stereotipi e sulle gerarchie interne alla coppia, l’imbarazzo che marca le crepe del rapporto si palesano nella quiete dirompente dei diversi gradi di bianco su cui si staglia la piccola, grottesca, tragedia umana: il bianco, candidus,della neve intoccata, un bianco fiammante, che inchioda; quello della nebbia, opaco e assorbente, che occulta; il chiarore latteo e desolato, drammatico, del paesaggio schiacciato dalle nubi (albus), molto simile a Cloud Dancer. Il colore, qui, descrive il malessere procurato da una convivenza forzata, la totale assenza di empatia. L’inesprimibile insito in esso – il senso dell’assoluto e dell’estremo, dell’indefinito e dell’infinito proprio di questo colore – incute rispetto e timore.

Moby Dick

Una superficie bianca è riflettente, irradiante; i contorni si espandono, dilatandone il volume. È l’abbacinante monocromia bianca a generare distacco, meraviglia e silenzio, come lo smisurato niveo cetaceo protagonista del romanzo di Melville. “Era la bianchezza della balena che sopra ogni altra cosa mi atterriva”. È l’indecifrabile a spaventarci, o l’incerto? La balena – come metafora dell’universo, delle forze della natura e dell’ignoto o persino dello spirito – sottolinea l’impossibilità di comprendere l’enigma della vita, palesando il senso del limite umano.
Nell’immaginario simbolico, “Il bianco è il simbolo di un mondo in cui i colori sono spariti, che agisce sulla nostra psiche freddamente, creando un silenzio assoluto”. (Vasilij Kandinsky). Per analogia, si pensa al non detto, alla verità taciuta e dissimulata per una “buona ragione”: una bugia bianca desidera apparire innocua. D’altro canto, il suo splendore è intoccabile come un foglio intatto che, macchiato di inchiostro, perde il candore. È la sua natura corruttibile a decretarne la fuggevolezza. Per contro, “i marmi, le camelie, le perle” – oggetti impeccabilmente compiuti – definiscono l’archetipo della bellezza ineguagliabile e la perfezione: nel falso mito promosso da Winkelmann di una classicità marmorea candida, si è rafforzato l’equivoco del bianco come ideale di armonia.

Il candore dei marmi
© Carla A. Bordini Bellandi

La luce bianca, somma dei colori, interpreta un pensiero inclusivo; gli oggetti bianchi si manifestano nell’acromatismo: bianco è annullamento e, insieme, fusione. Si contrappone al vuoto di un buco nero,in cui tutto si distrugge. In occidente il lutto è descritto dal nero della perdita e del dolore, in oriente dal bianco dell’eternità, del ritorno alla luce: la dualità offre visioni complementari su una dimensione altra dalla vita. Confliggendo con il suo opposto, il nero, dà vita alle dicotomie che governano da sempre la natura e la nostra stessa psiche: luce e oscurità, inizio e fine, resurrezione e morte, chiarezza e oscurità di pensiero, presenza e assenza, cielo e terra, giorno e notte, possibilità e negazione.
Ci piacerebbe poter ripartire da una pagina bianca, inaugurando un nuovo modo di intendere la vita, alleggerita, svuotata di ciò che non vorremmo vedere. Bianco è il silenzio lessicale e semantico, il non-suono. Lo spazio bianco per Mallarmé è parte dell’opera e ne contiene il concetto profondo, producendo un’assenza utile al lettore per cogliere il valore di ogni parola. Fra gli ultimi due capitoli de L’Educazione sentimentale di Flaubert, un enorme spazio bianco, che Proust definisce la cosa più bella del romanzo, rappresenta i vent’anni non narrati della vita del protagonista.

Una pagina bianca
Florian Klauer

Uketsu
© Flaunt Magazine

Il volto teatrale non è dipinto, è scritto”: Roland Barthes accosta il viso bianco della tradizione giapponese del teatro Kabuki e del alla pagina, gli occhi all’iscrizione.L’attore non recita il personaggio ma lo significa, senza emotività né temperamento. L’identità del performer e scrittore giapponese Uketsu si cela dietro una maschera di cartapesta che ricorda le facce antropomorfe di Ugo Rondinone e Kaonashi, il personaggio enigmatico del film La città incantata di Miyazaki. È un viso non umano – una luna piena lontana dall’espressività raffigurata da Méliès -che occulta la fisionomia. Il suo pallore cereo, associato ai fantasmi e al mondo dei morti, suscita inquietudine, terrore.
Questo colore ha interpretato, degli interni, la concezione minimalista: abbagliante, innova e colpisce. Per Le Corbusier esalta la bellezza delle forme esprimendo nitore, rinnovamento e libertà. Razionalista, fautore della semplificazione, l’architetto è anche uomo romantico: il bianco per lui – oltre a rispondere alla “legge della biacca” – è filosofico, un nuovo modo di intendere gli ambienti. Muri candidi disseminati di oggetti colorati, però, comunicano freddezza e vuoto. Inoltre, il bianco monocromatico azzera il contrasto con gli arredi, livella i chiaroscuri rendendo lo spazio bidimensionale. Il riverbero è dannoso per la vista perché trasforma le pareti in immense superfici accecanti. Monotono, piatto, privo di contenuto psicologico: l’incapacità di emozionare propria del bianco crea negli utenti problemi di concentrazione e disturbi psicosomatici.

Ambientazione bianca Copyright
© 2025 Levante Shop

È l’esatto contrario rispetto all’impatto dirompente, rivoluzionario delle opere pittoriche monocrome: Kazimir Malevič, con il bianco, ha superato le limitazioni del colore; perPiero Manzoni, somma e annullamento propri del bianco “liberano dei fatti estranei, dei gesti inutili, raggiungendo le proprie autentiche origini”; Lucio Fontana ha reso visibile lo spazio fisico altro oltre la tela.
Gusci algidi custodiscono i prodotti tecnologici di Apple: bianco, qui, comunica performance, eccellenza, qualità. Purezza d’animo, spiritualità, innocenza: “Le mie mani hanno il colore delle tue, ma avrei vergogna, io, di avere un cuore così bianco” dice Lady Macbeth al marito, evocando l’idea di un cuore esangue, incolpevole o pavido? Il bianco, in sé, ispira distacco e indifferenza: niente trasporto emotivo, mantiene le distanze, non commuove né appassiona. Si può riflettere sulla bianchezza, che “infonde nell’animo un timor panico maggiore del rosso, che pure ci spaventa nel sangue”. Questa, però, è un’altra storia.

Ambientazione bianca
© Carla A. Bordini Bellandi

Bellezza, fugacità, silenzio, rispetto, timore, assenza, vuoto spazio-temporale, mancanza di emozione e di riflessione, freddezza, impersonalità, inaccessibilità, superficialità, perfezione, igiene, purezza, eccesso visivo, non accogliente, non rilassante.


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