Sede della redazione di Der Spiegel, 1969, Amburgo © Oliver Heissner

Ripensando al passato dalla prospettiva aperta che offre la contemporaneità, il periodo che si colloca a cavallo fra gli anni ’50 e i’60 appare favoloso nel senso letterale del termine. Allora, tutto sembra a portata di mano: niente è impossibile. Mentre l’Europa si riprende dal conflitto più sanguinoso nella storia dell’uomo, crescono i consumi; con la diffusione degli elettrodomestici, la donna si libera dalla schiavitù del bucato, rivoluzionando l’organizzazione della casa e la gestione del tempo.
La sintesi degli antibiotici segna un punto di svolta nella storia della medicina e la plastica – oggi piaga epocale, ma allora vera e propria conquista di modernità – testimonia un cambiamento sostanziale del benessere, con l’avvento di una libertà che oltrepassa i limiti dell’immaginabile. Fotografie a quei tempi incredibili mostrano uomini in tuta “da palombaro” fluttuanti nell’oscurità, in assenza di atmosfera: si compiono i primi voli spaziali, mentre l’Italia vive e concretizza il miracolo economico, attestandosi fra le maggiori potenze industriali.

Uomo nello spazio © Esanum

Operando un’estrema semplificazione, linguaggi artistici d’avanguardia come il surrealismo, l’astrattismo, l’espressionismo astratto e l’informale anticipano e rispecchiano i cambiamenti  della società, culminando nella Pop Art: insieme alle inquietudini della Beat Generation e agli ideali pacifisti degli hippies, sorge una cultura underground, che esprime la necessità – fortemente sentita dalla nuova generazione di giovani artisti – di ulteriori forme alternative di espressione, antitetiche a quelle dominanti. L’arte diventa così superamento, contestazione, sperimentazione.
La musica, il cinema – quello americano innanzitutto – e la fotografia di moda condizionano un presente che vuole lasciarsi alle spalle il passato per esprimere il nuovo, fra le cui caratteristiche primeggia il colore: dalla moda al design – anche quello di auto e moto -, più gli oggetti sono colorati, più dimostrano la propria modernità.
Accanto all’elegante unicità degli oggetti colorati concepiti da Gio Ponti e da Zanuso, da Franco Albini e dai fratelli Castiglioni, il design si trasforma via via in una vera e propria esplosione di colori, utilizzando materiali innovativi e funzionali: il divertente appendiabiti Hang it All (Charles & Ray Eames, 1953), la la Egg Chair (Arne Jacobsen, 1958), e la Panton Chair, così come la Heart Cone Chair (Verner Panton 1959-60) sono il preludio agli sgargianti anni ’60.

Attaccapanni Hang it All, Charles & Ray Eames, 1953, Vitra

Dal concepimento di una “visione altra” della vita all’approfondimento dell’elemento visione, poi, il passo è breve: l’arte non è più l’espressione, né l’attestazione – basata spesso sulla capacità di colpire o di emozionare – di bellezza e armonia, bensì costituisce la partecipazione dell’osservatore a un’esperienza percettiva che coinvolge contemporaneamente fisiologia e psicologia, individuando nell’occhio – e nelle sue caratteristiche – il “punto focale” della percezione.

Enzo Mari, Pittura 104, 1952, Galleria Massimo Minini, Brescia

Proprio su questo processo psichico, che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato, si sviluppa l’Optical Art: motivi grafici – linee, griglie e forme geometriche – sono scientificamente progettati per produrre un senso di straniamento, che si sviluppa sulla base dell’illusionismo cinetico bidimensionale, con il fine di suscitare l’impressione plastica di movimento mediante la quale giocare con l’osservatore, inducendolo in uno stato di instabilità percettiva e coinvolgendolo come parte attiva nella riuscita dell’opera. Come accade oggi con alcuni tipi di installazioni, l’arte si tramuta in esperienza immersiva per il fruitore, indagando l’ambiguità e la mutevolezza della visione mediante la ricerca dei suoi meccanismi. L’uso impeccabile della tecnica pittorica ha permesso di realizzare opere che causano interferenze visive, dando luogo a giochi profondamente disturbanti.
Così l’illusionismo psichedelico – connesso anche alla necessità dei giovani di sondare l’inesprimibile – conduce a perlustrare l’inafferrabilità percettiva e la forza cromatica degli effetti optical. Colori forti e catalizzanti o tenui e desaturati danno origine a suggestioni spaziali di profondità, avanzando o retrocedendo, ognuno secondo le proprie caratteristiche, rispetto allo sfondo: che i colori interagissero fra di loro, determinando vari tipi di contrasti, era già noto a Johannes Itten così come a Joseph Albers, pittori e esponenti di spicco della Bauhaus, che hanno a lungo analizzato i fenomeni generati dall’interazione cromatica.

Esempio di Op Art, Leonardo Bellandi De Clemente, 2018

L’occhio umano, se sottoposto a un dato colore, ne esige immediatamente il complementare – quello, per così dire, che addizionato alla tinta in questione sviluppa un grigio in pittura e il bianco nella proiezione luminosa. Non ricevendolo, il sistema visivo – nella ricerca costante dell’equilibrio – lo produce da sé: nei fenomeni di post immagine e di contrasto simultaneo il colore prodotto è endogeno, esiste perciò soltanto nella percezione di chi guarda, non nella realtà esterna. Ombre e riflessi di luce, a volte creati dalla graduata intensità delle linee, hanno il potere dinamico rivoluzionario di materializzare movimenti oscillanti o pulsanti.
Così l’espressione artistica, filtrata attraverso scienza e tecnologia, provoca sensazioni puramente visive, mentre il prodotto che ne deriva – privato della narrativa propria dell’arte figurativa e del suo potere espressivo e emozionale, spazzati via il mistero e la sacralità dell’arte astratta, stimola lo spettatore sul piano percettivo e psicologico, sfuggendo a qualsiasi necessità contemplativa.
Fra i molti artisti di rilievo cito Bridget Riley, Victor Vasarely, Joseph Albers, Getulio Alviani, Frank Stella, Alberto Biasi, Enrico Castellani e la milanese Dadamaino.

Dadamaino. Courtesy Dadamaino

I motivi dell’Op Art – così come quelli cromatici, iconici, seriali della Pop Art – si estesero rapidamente al quotidiano contaminando, almeno negli aspetti esteriori, la grafica e la pubblicità, la moda, l’arredamento, il design. Agli effetti optical più evidenti si ispirarono i designer di carte da parati, di tessuti, tappeti e tendaggi, permettendo – una volta arredati con elementi d’arredo contemporanei coloratissimi – la creazione di ambienti talmente unici e caratterizzati da connotare un’epoca.

Lampada Nesso, Giancarlo Mattioli 1965, Artemide

Seduta Marshmallow, George Nelson 1956, Vitra

Scenografici contrasti di tinte prevalentemente pure, giochi di materiali, di forme e di oggetti funzionali colorati contraddistinguono gli spazi che compongono la sede della rivista Der Spiegel, ad Amburgo, progettata da Verner Panton nel 1969. Il suo lavoro, manifestamente anti-minimalista, è un modello abitativo emblematico inedito, attraente e provocatorio. In esso ogni stanza, cromaticamente parlando, è un allestimento a sé, un paesaggio psichedelico che offre visioni caleidoscopiche.

Panton Chair, Verner Panton 1959, Vitra


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