Vi avevo già parlato di Leonardo Ricci, parlando del palazzo di giustizia di Savona nell’articolo sul brutalismo ligure. Ma a Jesi, cittadina marchigiana, Ricci si è spinto oltre con uno dei suoi progetti più audaci, l’ampliamento del cimitero comunale, affidatogli nel 1984. Un cimitero, quello di Jesi, che vanta una storia secolare, iniziata subito dopo l’editto di Saint Cloud (1804) con cui Napoleone disponeva l’obbligo di sepoltura fuori dalle mura cittadine: la sua costruzione iniziò, infatti, iniziò nel 1813.

L’intervento di Ricci si estende sul lato nord del cimitero storico, su un terreno in pendenza. Ricci opta per una configurazione a corte con una cappella coperta al suo centro. I blocchi funerari sono collegati da scale e rampe che si intersecano tra loro e, così facendo, l’organizzazione planimetrica privilegia l’assenza di gerarchie: non ci sono puti di vista né percorsi principali; tuttavia, in una delle aree più elevate del cimitero, Ricci fa sorgere una piramide che, con la sua forma tagliente, funge da landmark e punto panoramico sulla città di Jesi.

Il materiale dominante è, inutile dirlo, il cemento armato a vista, gettato in casseri lignei verticali, che ne lasciano visibile la texture. Ogni elemento non in calcestruzzo è accuratamente nascosto, e le pareti ruvide e compatte conferiscono all’insieme un aspetto minerale, quasi fossile. Le sepolture si distribuiscono all’interno di blocchi sovrapposti o disallineati, talvolta aggettanti, che ricordano piccole cellule abitative. Gli spazi interstiziali si trasformano in piccole corti, cavedi, affacci.

L’architettura è volutamente priva di apparati decorativi: non ci sono simboli religiosi, sculture o segni monumentali. Anche l’ingresso si mimetizza nel terreno, preceduto da una rampa che spezza la vista frontale.

Negli anni, il cimitero di Jesi è rimasto un episodio isolato e poco conosciuto, benché apprezzato da una nicchia di architetti, studiosi e fotografi. In tempi recenti è stato riscoperto nel contesto del cosiddetto “turismo cimiteriale”, tanto che l’amministrazione comunale vorrebbe aderire alla Association of significant cemeteries in Europe (Acse), un’associazione che si occupa di valorizzare i cimiteri sotto il profilo storico e artistico, con attività di promozione, protezione, restauro e manutenzione degli stessi.

Oggi, a trent’anni di distanza, il progetto continua a suscitare reazioni contrastanti. C’è chi lo trova freddo, inospitale e chi lo considera un capolavoro: come già raccontavamo nell’articolo sulla Liguria, il brutalismo spesso crea queste spaccature. Ma, almeno nel caso di Jesi, la direzione dell’amministrazione comunale lascia intravedere più sprazzi di positività nei confronti di un monumento che più che una pace eterna, lascia intravedere un cammino tortuoso.
Eppure, nel preparare questo articolo, una cosa mi ha lasciato perplesso, leggendo per puro caso un articolo di cinque giorni fa su QdM.it. L’articolo, infatti, esordisce con “ha fatto il pieno di iscritti il tour al cimitero monumentale di via Santa Lucia, organizzata per la terza volta dall’Ufficio del Turismo del Comune”, tuttavia senza menzionare né fotografare l’ampliamento del cimitero all’interno dell’articolo, ma solo la sua porzione storica. Ma, probabilmente, non aver parlato di Ricci è stato solo un caso e non un atto anti-brutalista, visto che in un articolo del 2023 sullo stesso sito si parlava del suo ampliamento come una delle principali ragioni di attrazione turistica del cimitero.

Cover Photo Courtesy ©qdm
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