Spesso, pensando al lavoro del fotoreporter, immaginiamo figure con la capacità di essere sempre lì dove la notizia si forma, dove la Storia cambia improvvisamente. È un’immagine affascinante e, in parte, reale: il fotoreporting richiede la capacità di cogliere ciò che è “caldo”, ciò che sta accadendo ora.

Sebastião Salgado è stato un’eccezione a questa regola. Il suo obiettivo non ha rincorso la spettacolarizzazione dell’evento, ma ha piegato il fotoreporting alla descrizione di scene di vita che non sono peculiari in quanto tali, anzi ritraggono una quotidianità spesso invisibile. Proprio questo le rende, paradossalmente, così straordinarie. Guardare i suoi scatti significa realizzare che la quotidianità per migliaia di persone del Terzo Mondo è talvolta molto più disturbante di uno scatto che raffigura un momento di particolare violenza o crudezza.

La prima realtà che sceglie di imprimere su pellicola è la siccità del Sahel. Ma è l’intero continente africano a conquistarlo, a evocare in lui ricordi della sua terra natale, il Brasile.

Un giorno dirà al giornalista Mario Calabresi “Il primo posto dove fotografare per me è ancora l’Africa, amo i suoi cieli, i deserti, le montagne, tutto è enorme ed ogni volta che arrivo, sento che sono a casa. Riconosco anche il sottosviluppo che è stato del Brasile, la siccità, la deforestazione, incontro donne e uomini che lavorano ore al giorno, senza educazione, senza casa, senza una buona alimentazione, senza assistenza e senza scarpe, solo per vendere prodotti sottopagati. Ma non mi muove un problema di cattiva coscienza o un senso di colpa. Da economista ho studiato l’Africa e conosco le ragioni di questi squilibri, mi muove l’idea di raccontare i lavoratori e la loro dignità.”

Anche la sua biografia, infatti, lo rende un fotografo fuori dagli schemi. A differenza di molti fotografi diventati famosi, che hanno avuto una tale vocazione per la fotografia da intraprendere un percorso di studi atto a diventare professionisti, Salgado era inizialmente un economista che lavorava per l’Organizzazione del Caffè. La fotografia è stata per lui una passione nata in maniera totalmente amatoriale, quando era già adulto. Il suo lavoro da economista gli ha permesso di visitare Paesi del Terzo Mondo che hanno acceso la sua miccia artistica e lo hanno portato a diventare uno dei fotoreporter più famosi al mondo.

Salgado, tuttavia, ha sempre rifiutato l’etichetta di “fotografo della miseria”:

Nei campi profughi non ho fotografato gente povera o disperata, ma persone. Io non ho mostrato i miserabili, ma gente che viveva in equilibrio e poi ha perso la casa, la terra e cercava un altro luogo dove vivere. Questa è la mia fotografia: rispettarli e mostrare una storia. Non sono spinto dall’idea di fare foto belle o di diventare famoso ma da un senso di responsabilità: io scrivo con la macchini fotografica, è la lingua che ho scelto per esprimermi e la fotografia è tutta la mia vita. Non penso troppo alla luce ed alla composizione, il mio stile è dentro di me e quella luce è quella del Brasile, quella che porto dentro di me da quando sono nato“.

Workers: An Archaeology of the Industrial Age, 1986-92

Fra i suoi progetti più importanti si annoverano “La mano dell’uomo” che testimonia il passaggio dai lavori tradizionali e manuali alle nuove tecnologie che li hanno soppiantati. É un ritratto della condizione lavorativa e soprattutto della dignità – o mancanza di essa – che si spazia dalle miniere d’oro del Brasile ai pozzi di petrolio del Golfo Persico, alle miniere di zolfo indonesiane. Gli operai diventano quasi eroi romantici, nonostante stiano facendo semplicemente quello che fanno ogni giorno: lavorare nelle condizioni più dure possibili.

Altro progetto importante, che ha segnato la vita di Salgado, è “In cammino”. Durante 7 anni visita 40 Paesi per ritrarre la condizione di vita degli abitanti. Durante questo viaggio è testimone del genocidio del Ruanda, questa realtà lo segna profondamente e gli fa perdere la fiducia nell’umanità. Decide così di tornare in Brasile e dedicarsi alla riforestazione delle terre della sua famiglia. Da questo progetto nasce l’ispirazione per un nuovo ciclo fotografico, “Genesi”.

Genesi

Con Genesi, Salgado cambia prospettiva: l’attenzione si sposta dall’uomo alla natura. Viaggia alla ricerca di territori incontaminati, dove l’impronta dell’uomo non sia ancora arrivata. Il suo sguardo diventa una celebrazione della bellezza primordiale del pianeta.

Salgado 7

In cammino

Salgado ci insegna che la fotografia non è solo testimonianza, ma atto di responsabilità. Con il suo sguardo, ha saputo raccontare la dignità umana e la bellezza del pianeta, ricordandoci che ogni immagine può essere una forma di rispetto e di impegno verso il mondo.

La mano dell’uomo

Photo Credits © Sebastião Salgado


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