“El hormigón es el material más representativo de nuestro siglo. Del mismo modo que la piedra definió una época, esta será la edad del hormigón”.
Con questa dichiarazione, lo scultore Ángel Mateos riassumeva l’essenza della propria ricerca: il calcestruzzo non come materiale povero, ma come pietra del nostro tempo, capace di incarnare la modernità con la stessa forza con cui la pietra aveva segnato l’antichità.
Una carriera autonoma
Nato a Salamanca nel 1931, formato tra architettura e scultura a Madrid, Mateos sceglie fin dall’inizio una strada autonoma, lontana dalle mode e dalle correnti dominanti. Dopo le prime esperienze negli anni Sessanta con il ferro e il legno, approda al cemento armato e non lo abbandonerà più. È in questo materiale che trova il suo linguaggio, fatto di geometrie pure e di volumi netti, a metà tra la scultura e l’architettura.
L’opera di Mateos è sempre stata fuori mercato: poco incline alle gallerie, diffidente verso i circuiti ufficiali, l’artista preferisce costruire un percorso personale e isolato. Negli anni Ottanta realizza alcune delle sue opere più potenti, veri e propri prototipi architettonici che ricordano templi, tombe o ruderi di una civiltà immaginaria. Nonostante l’isolamento, la sua scultura viene riconosciuta come una delle più coerenti esperienze minimaliste e brutaliste in Europa, con esposizioni in diversi paesi europei.


Le opere pubbliche
La sua radicalità non gli impedì di confrontarsi con la scala urbana e con progetti pubblici. Nel 1974, vincendo il Concurso Internacional de Autopistas del Mediterráneo, realizzò La Edad del Hormigón, una scultura alta 12 metri collocata lungo l’autostrada A-7 presso San Sadurní de Noya: un manifesto della sua poetica, visibile a migliaia di automobilisti. Nello stesso periodo produsse Dolmen VI a Lumbrales (Salamanca) e Cíclope, installata di fronte allo stadio Helmántico a Salamanca, entrambe opere che traducono la sua ricerca scultorea in landmark territoriali.

Nel 1994 regalò alla sua città l’Obelisco a la Libertad, un segno verticale di 25 metri all’ingresso di Villavieja de Yeltes, suo paese natale. E, nel 1999, realizzò Inversión VIII a Valladolid, una delle sue opere staticamente e formalmente più complesse, commissionata per il IV Centenario della fondazione città.


Il museo
Il coronamento del suo lavoro arriva nel 2002, quando inaugura a Doñinos de Salamanca il Museo Ángel Mateos, da lui stesso progettato e pensato come prosecuzione naturale della sua ricerca: tre parallelepipedi in cemento armato che si intersecano, incisi da tagli di luce, che custodiscono oltre centosettanta sculture in calcestruzzo realizzate tra il 1960 e il 2000. Mateos, quindi, decise di non affida la sua eredità a collezionisti o istituzioni ma di costruire un luogo stabile e definitivo, in cui il suo linguaggio potesse continuare a parlare senza condizionamenti. Con questo forte atto di autoaffermazione, lo scultore ribadì ancora una volta il modo con cui cercò di svolgere tutta la sua carriera: indipendente e, soprattutto, libero da vincoli economici.
Photo courtesy: Museo Angel Mateos
Per ulteriori informazioni: www.museoangelmateos.com
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