Nel 2011, il Gruppo Hochschild — fondatore dell’Universidad de Ingeniería y Tecnología (UTEC) a Lima — lanciò un concorso internazionale per la progettazione del nuovo campus universitario nel quartiere di Barranco, su un terreno scosceso ai margini dell’Oceano Pacifico. L’obiettivo era chiaro: creare un centro didattico innovativo, capace di stravolgere la formazione ingegneristica in Perù.

A vincere il concorso furono le architette irlandesi Yvonne Farrell e Shelley McNamara, fondatrici dello studio Grafton Architects, in collaborazione con lo studio locale Shell Arquitectos. La loro proposta si distingueva per una visione radicale: concepire l’università non come un campus chiuso, ma come una forma architettonica aperta, stratificata ed espansiva — un vero e proprio “campus verticale”.
Inaugurato nel 2015, l’edificio ha ottenuto diversi riconoscimenti internazionali, tra cui il RIBA International Prize nel 2016, ed è stato uno tra i lavori selezionati che hanno permesso alle due fondatrici di Grafton di vincere il Premio Pritzker nel 2020.


Un paesaggio verticale per l’educazione
Affacciato sulla Costa Verde, in una zona densamente edificata e trafficata, il complesso si erge su un terreno fortemente scosceso e pare rispondere al pendio con una geometria articolata di rampe, terrazze, vuoti e pieni che evocano le architetture precolombiane come Machu Picchu. Le stesse Yvonne Farrell e Shelley McNamara, hanno detto di aver voluto creare un “man-made cliff”, una scogliera artificiale integrata nell’ambiente circostante, con una sezione a forma di A.
Le Grafton descrivono l’edificio come una “città verticale”. E, in effetti, il campus si presenta come un sistema di spazi interconnessi che alternano ambienti aperti e chiusi, pubblici e privati, tecnici e didattici. Il cuore del progetto è costituito da una serie di vuoti – corti, patii, passaggi a cielo aperto – che permettono alla luce naturale di filtrare ovunque, anche nei laboratori e negli auditorium interrati.

Le aule sono organizzate in fasce, separate da spazi collettivi, scale e terrazze che affacciano verso l’oceano. Il tutto è racchiuso da una struttura portante in calcestruzzo armato a vista, scandita da setti diagonali che generano piani sfalsati. L’edificio, dunque, non si “mostra” con una facciata, né tantomeno si nasconde, come fanno altri campus universitari di concezione contemporanea. Non impone un fronte monumentale, ma invita gli utenti e i cittadini a percorrerlo, a salirci sopra, a viverlo, con quella durezza un po’ poetica tipica di un brutalismo contemporaneo esteticamente molto vicino a quello degli anni ’60.

Cemento, clima e contesto
Il brutalismo dell’UTEC è quello tipico di una certa architettura “aperta” tipica dei climi sudamericani. I grandi sbalzi termici, l’assenza di piogge significative e la vicinanza al mare hanno permesso ai progettisti di lasciare molte parti dell’edificio del tutto aperte o solo parzialmente schermate, riducendo il fabbisogno energetico e incentivando la ventilazione naturale. Le aree didattiche terrazzate e la vegetazione creano un microclima interno piacevole per le aree di circolazione e la sezione a gradoni fornisce ombra in estate agli spazi, permettendo comunque l’ingresso di luce naturale in maniera non diretta. Tutti i laboratori e le aule godono di aperture su almeno due affacci, per favorire riscontro d’aria e ventilazione. Gli aspetti di ventilazione e illuminazione naturale sono stati ampiamente approfonditi anche con studi illuminotecnici per ottimizzarne gli effetti durante le varie stagioni.

Tra monumentalità e quotidianità
Uno degli aspetti più interessanti dell’UTEC è il modo in cui riesce a coniugare monumentalità e quotidianità. Da un lato, l’edificio è imponente, quasi intimidatorio: una parete di cemento armato alta 50 metri che si affaccia sulla città. Dall’altro, la scala dei dettagli — panchine, parapetti, punti di sosta — restituisce un senso di umanità e di intimità.
Nel cuore di una capitale spesso caotica e contraddittoria come Lima, l’UTEC emerge come un luogo al contempo di ordine e di apertura. Non è un caso che l’università abbia investito in un campus così radicale: si tratta di un manifesto pubblico, un modo per affermare l’importanza della formazione, dell’ingegneria, del pensiero tecnico applicato alla società.

Nel panorama internazionale, pochi campus universitari recenti riescono a essere così ambiziosi senza risultare autoreferenziali. L’UTEC di Lima mostra che è possibile fare architettura educativa di alto livello anche in contesti non eurocentrici, portando avanti una visione culturale e ambientale integrata.

Cover Photo credit: ©Iwan Baan
Arthur vi invita ad iscrivervi alla nostra Newsletter!!