Credo che Il mio percorso universitario, come tutto il sistema scolastico italiano, abbia dei grossi buchi neri che diventano sempre più ampi man mano che raccolgo esperienze professionali e, come sempre in quello che faccio nella mia vita, mi guardo indietro.
Tra le molte pecche e falle, una delle esperienze che invece tutt’oggi mi ha profondamente segnata è stato il corso di progettazione svolto al mio terzo anno in cui, sviando dal lineare progetto, il docente. il primo giorno di laboratorio ci disse che durante quell’anno accademico ci saremmo occupati della progettazione di un cimitero.
Non essendo credente non so perché mi abbia particolarmente colpito la cosa; probabilmente perché la spiritualità e le sensazioni che scaturisce questo tema (che è quello dei luoghi della memoria) esula da qualsiasi credenza e pervade il substrato umano dell’emotività.
Quindi le mie corde emotive sono istantaneamente state smosse, essendo io una persona molto sensibile, estremamente nostalgica e cronicamente impaurita dall’idea della morte.
Il progetto in sé di un cimitero, sin dai tempi più antichi risponde ad una domanda funzionale e biologica semplice e chiara che trascende ogni epoca storica. Come riassume Calvino in questo estratto de Le città invisibili: “Si arriva a un momento nella vita in cui tra la gente che si è conosciuta i morti sono più dei vivi.”
Accanto a questa ovvia necessità di progettare quindi dei luoghi in cui seppellire i defunti vi è anche uno studio urbanistico e se vogliamo anche di decoro che il progetto di un cimitero inevitabilmente si porta dietro, con le differenze del caso dovute a credenze religiose, popoli e culture che influenzano le caratteristiche sepolcrali e la tipologia cimiteriale del loco.
Pensiamo ad esempio alle necropoli: già in epoca precristiana, infatti, si sentiva la necessità di creare una sorta di “città dei morti”, con un asset urbanistico arcaico ma chiaro che semplicemente riguardasse l’aggregazione di tombe vicino alla città antica, come nelle necropoli etrusche di Tarquinia o i siti di Giza e Tebe.

Nel 1804 con la legge di Saint Cloud si segna un importante spartiacque storico perché da quel momento viene fatto assoluto divieto di seppellire i morti entro la città storica e dunque subentra la necessità di progettare un luogo dedicato al culto dei defunti.
Si comincia così a ripensare ai cimiteri non come spazi di risulta, sepolture viste come mere tumulazioni da allontanare dalle mura delle città ma a dei progetti urbani come vere e proprie città in cui, nelle situazioni più iconiche, le differenti tipologie sepolcrali diventano anche architetture scultoree.
Ne è un esempio – lampante – l’impianto monumentale dell’omonimo cimitero di Milano: se non ci siete mai stati vi consiglio una passeggiata; basti pensare a questo cimitero come una città, con tanto di viali, corridoi verdi, edifici pubblici e strutture che ospitano le cappelle private, piazze, vegetazione e decoro urbano.

Anche l’ampliamento del cimitero di Grugliasco, Torino, progettato da Carmassi prevede una sorta di ripartizione in lotti, con sistemi a corte e recinti che perimetrano i nuclei in mattoni che ospitano i defunti.
Il tema delle sepolture trova ovviamente le sue radici nel culto spirituale dell’attaccamento terreno nei confronti dei defunti; la sepoltura è sempre stata vista come simbolo di memoria in grado di mantenere l’unico e ultimo legame materialista per superare il dolore terreno della morte eterna. La tomba Brion a San Vito Altivole rappresenta per eccellenza il suddetto concetto di architettura sepolcrale. Commissionato come monumento, è stato progettato dall’architetto Carlo Scarpa che ne ha realizzato una delle più belle opere architettoniche del Novecento.

Vi consiglio un approfondimento della Tomba Brion con questo articolo esplicativo.
Ricordiamo anche l’iconico progetto di Aldo Rossi all’interno del cimitero di San Cataldo, diventato emblema del neo razionalismo italiano.

Abbiamo visto come intrinsecamente le strutture cimiteriali siano progettate con la stessa conformazione di una città. Alcune vengono pensate addirittura come un’intera isola: è il caso del Cimitero di San Michele a Venezia, un vero e proprio museo a cielo aperto adagiato sulle acque della laguna veneta.
Una tipologia cimiteriale molto sviluppata oggi e più di stampo europeo è quella del cimitero immerso nella natura, o cimitero inteso esso stesso come natura. È il caso del Cimitero Skogskyrkogården a Stoccolma: qui ad ogni lapide viene accostato un albero con un tradizionalismo simbolico che affonda le sue radici nel concetto di rinascita e di continuo rimando che collega costantemente la terra al cielo. Il cimitero di Stoccolma progettato dagli architetti Gunnar Asplund e Sigurd Lewerentz è inserito nel circuito UNESCO come patrimonio naturale e culturale da tramandare alle generazioni future.

Tra i complessi cimiteriali simbolo di integrazione col paesaggio e di rispetto e dialogo col contesto circostante vincitore è senza dubbio il Crematorio Siesegem ad Aalst, Belgio, progettato da Kaan Architecten a stretto braccio con il paesaggista Erik Dhont.
Simbiosi che ha dato vita a un edificio in totale mimesi col parco attorno, inserito in un paesaggio di quiete e silenzio in cui l’architettura letteralmente sparisce tra le colline circostanti.

Anche il progetto di ampliamento del Cimitero de Nieuwe Ooster ad Amsterdam è diventato un monumento nazionale; esso vede la struttura architettonica del cimitero sposare appieno l’idea di continuità con la natura; il complesso nasce infatti dentro un parco urbano, diventando esso stesso parte del parco.


Sulla tematica sepolcrale non può mancare anche una visione eco-friendly. Un progetto affascinante quanto particolare, ancora in fase di sperimentazione, è Capsula Mundi:
ideato da Anna Citelli e Raoul Bretzel, ripensa sistematicamente il post-mortem. Il progetto è una capsula a forma di uovo che affronta il tema di un’ecologia sempre più green. Il corpo del defunto, infatti, verrà posto dentro la capsula e seppellito per tumulazione e in corrispondenza verrà piantato un albero al posto della lapide.
Oggi le strutture cimiteriali subiscono inevitabilmente le influenze dell’evoluzione occidentale; nonostante il culto dei morti rimanga radicato nelle consuetudini religiose delle tradizioni delle civiltà a cui appartengono, in realtà l’approccio culturale sta mutando e investendo anche questo campo, frutto di una società globalizzata che si è aperta a culture altre e multi-religiose.
Vi consiglio, per concludere, il libro “Cimiteri” di Luigi Franciosini – GTA. Una lettura molto interessante sui sistemi cimiteriali, sulle tipologie e le declinazioni che impianti del genere stanno assumendo e sul forte impatto emotivo e spirituale che ancora una volta l’architettura riesce a manifestare, sotto molteplici e silenziose forme.