Raggiunta la laurea in architettura al Politecnico di Milano, Elena Salmistraro fonda il suo studio di progettazione con l’architetto e partner Angelo Stoli, iniziando una collaborazione fondata su progetti di architettura e design. Successivamente la sua carriera si è diretta maggiormente sulla progettazione del prodotto piuttosto che sull’architettura. Tra le collaborazioni più interessanti degli ultimi anni possiamo citare quelle con Alessi, Bosa, Ikea, Bottega intreccio, Seletti, CC-Tapis.

DT – Ciao Elena, siamo molto contenti di incontrarti e di poterti fare qualche domanda che ci aiuti a conoscere meglio il tuo lavoro e le tue passioni. Recentemente ho letto una definizione che ti riguarda e che ti dipinge come “la designer di Milano che trasforma gli oggetti in animali da compagnia”. Il riferimento alla celebre frase di Achille Castiglioni è evidente e quindi volevo chiederti: ti piace disegnare oggetti che facciamo compagnia?

ES – Assolutamente sì. La mia ricerca progettuale si concentra principalmente sull’aspetto emotivo ed empatico degli oggetti, credo che spesso sia considerata una caratteristica secondaria, se non futile ed ampiamente trascurata, ma non per me. Sono convinta che riuscendo a progettare oggetti che sappiano instaurare un rapporto con l’utente si possano ridurre notevolmente gli sprechi. 
Siamo peni di oggetti utilissimi, con cui pero non riusciamo ad instaurare un vero legame, penso ad esempio ai cellulari ed i nostri pc ad esempio, che sostituiamo annualmente senza crearci particolari problemi. 
Mentre nelle nostre case è altrettanto facile trovare presenze, feticci o oggetti senza alcuna funzione particolare, che però hanno per noi un alto valore emotivo, dei ricordi a cui non vogliamo e non possiamo assolutamente rinunciare, che probabilmente conserveremo per tutta la nostra vita e che riteniamo “amici” e compagni di viaggio.

DT – Passando in rassegna i tuoi ultimi progetti e le tue ultime collaborazioni ci è sembrato che l’esigenza di disegnare sia un’esigenza fortissima nel tuo lavoro: è esclusivamente un modo di esprimersi per te o è anche una sorta di terapia per affrontare la vita di tutti i giorni?

ES – Il disegno è sempre stato per me un compagno di viaggio; da che ho ricordi ho sempre disegnato, forse ancor prima di parlare. Il disegno è stato ed è per me un modo di comunicare, probabilmente è servito anche da terapia in certi casi, ma mai consapevolmente. È un modo per allontanare la tensione, per indagare dentro me stessa, per riflettere e per scoprire nuove forme, senza far rumore, senza disturbare gli altri, senza eccessi. 
Il mio approccio al disegno è sempre stato, e lo è ancora adesso, molto libero, svincolato da qualsiasi tipo di sovrastruttura, sin dai tempi del liceo. Probabilmente proprio per questo sono molto attratta dalla street-art, di cui apprezzo appunto l’anima anarchica del gesto.
Oggi questa mia passione mi è utile sotto vari punti di vista: primo tra tutti l’approccio, la comprensione del fatto che la ricerca di un tratto distintivo ed unico sia fondamentale per sviluppare un percorso sano e consapevole, e poi sicuramente perché funge da collante nello sviluppo di progetti apparentemente molto diversi tra di loro che spaziano dalla grafica, al design, alle installazioni spaziali.

DT – Una fonte di ispirazione sicuramente molto ampia e che ci è stata negata in questo ultimo periodo è quella del viaggiare.  Ci sono luoghi particolari nel mondo che hai visitato e che ti hanno provocato delle emozioni forti che hai poi riversato nei tuoi progetti?

ES – Non c’è un luogo in particolare, in realtà sono una sorta di spugna che assorbe e poi mescolo, creo database di informazioni nella mia mente, che rielaboro in modo inconscio nel momento della progettazione.
Nei miei progetti si possono trovare parti, citazioni e ricordi di molti viaggi, di molti luoghi, a volte vicinissimi come la via sotto casa, a volte lontanissimi come lo spazio a cui mi sono ispirata per i tappeti Space Escape per Moooi.
La collezione dei Primates disegnata per Bosa è invece un mix perfetto tra un viaggio in Sicilia, con le sue tipiche teste di moro, ed un documentario guardato comodamente dal divano di casa, che ritraeva scimmie africane e asiatiche, che ha richiamato in me la magia della contemporaneità.
È anche vero però che certi luoghi hanno un’energia diversa, forte, unica, hanno profumi che ricorderai tutta la vita e che anche inconsapevolmente ti mettono a tuo agio, ti pongono in una condizione di benessere che aiuta e favorisce la fase creativa. Per me la Sardegna, ad esempio, ha questa forza.

DT – Vorrei prendere due esempi di realizzazioni recenti che ci hanno molto interessato e chiederti di raccontarci la storia che riguarda queste collaborazioni: la prima è quella per Ikea con l’Anticamera dei Sogni del 2020 e la seconda è quella per la realizzazione della poltrona Lisetta con Bottega Intreccio. 

ES – L’Anticamera dei Sogni è stato un progetto molto divertente perché per la prima volta Ikea Italia ha deciso di collaborare con un designer per la realizzazione dell’allestimento di uno spazio interno ai loro store. La richiesta era quella di raccontare a mio modo i loro oggetti e le loro collezioni, darne una lettura diversa, un nuovo punto di vista. Proprio per questo ho pensato di riferirmi al sogno, di allontanarmi quanto più possibile dall’impostazione realistica che Ikea propone usualmente ed immaginare un ambiente estraneo, pieno di colori, magico, divertente, ipnotico.
Per Lisetta invece il lavoro è stato quello di scoperta e racconto di una realtà stupenda che è quella di Mogliano, degli intrecciatori di vimini e della famiglia Maurizi.
Bottega intreccio è il vero esempio di quello che oggi può e deve fare il design italiano, e cioè ripartire dal territorio, valorizzare le antiche lavorazioni artigianali, rispettare la materia e condurla alla contemporaneità. 
Per questo il mio progetto è stato una sorta di tributo, un dono, un simbolo, un “abbraccio” a chi fa, senza se e senza ma.

DT – In quanto designer affermata e designer donna in un mondo popolato perlopiù da uomini, esiste secondo te un valore aggiunto nella progettazione che si può attribuire alla sensibilità femminile? 

ES – Onestamente non credo esista nessun valore aggiunto o una sensibilità differente. Il progetto è progetto al di là del genere. Se mai ci fosse una sensibilità maschile ed una sensibilità femminile, conosco donne che progettano come uomini e uomini che progettano come donne.
È vero però che fino a qualche anno fa questo mondo ha preferito puntare i riflettori perlopiù sugli uomini, e non perché le donne non ci fossero, anzi, ci sono sempre state ed anche molto brave, ma probabilmente in quella società ad una donna si addicevano altri mestieri.
Uno dei miei ultimi lavori è una sorta di tributo ad Anni Alberts, una donna che avrebbe voluto fare l’architetto ma che dovette ripiegare sulla tessitura suo malgrado, e come lei tantissime altre. La qualità e la bravura non hanno un genere, ma questo purtroppo la società fatica a comprenderlo ancora oggi. 

DT – Pensi che l’esperienza sociale di questa pandemia lascerà una traccia nella tua estetica? Credi che una volta finito questo periodo la tua produzione verrà influenzata da riflessioni legate alla situazione che abbiamo vissuto?

ES – Assolutamente sì, stavo iniziando a fare qualche riflessione in merito, anche se credo che sarà un processo molto lungo e complesso. Sicuramente questa esperienza ha influenzato e influenzerà sia l’approccio alla progettazione ma soprattutto il processo di produzione.
La pandemia ha reso evidente a tutti come il delocalizzare le varie lavorazioni non sia sempre la scelta giusta, tenendo in considerazione i vari aspetti legati alla logistica oltre che all’inquinamento prodotto e la creazione di sistemi economici completamente disconnessi dal territorio.
Come dicevo prima nel caso di Bottega Intreccio, si renderà necessaria una riscoperta dei valori, delle materie, e del saper fare legato a specifici territori.
Una ripartenza dall’interno, da ciò che abbiamo vicino e che meglio conosciamo, potrà sicuramente riportarci a cicli produttivi più sani ed in completa sinergia con la natura.
Per quanto mi riguarda a livello estetico, non credo che potranno esserci cambiamenti evidenti, anche perché alcuni dei miei progetti hanno già intrapreso questa direzione, non solo la poltrona Lisetta ma anche i vari progetti realizzati per Lithea.