KANZ Architetti sono Mauro Cazzaro e Antonella Maione. Sette anni fa, nel 2014, hanno scelto di stabilire il loro studio a Venezia, dove lui aveva studiato all’università e dove anche lei viveva fin da piccola. Da lì, dopo aver lavorato come architetti, nel design di interni, nella progettazione di allestimenti e nel prodotto, hanno dato vita alla loro collezione di oggetti domestici. Così è nato il marchio KANZ.
Da sempre, questo è riuscito ad intrecciare, in modo del tutto naturale, il lavoro con l’anima della città. Gli elementi visivi del paesaggio lagunare – che oggi appaiono più malinconici che mai – tornano nella produzione del marchio come se esistesse una naturale correlazione, come se la forma delle cose nascesse spontaneamente dai riflessi sull’acqua.
È vero quello che dice Tiziano Scarpa in Venezia è un pesce, e cioè che Venezia “ti viene spontaneo toccarla. La sfiori, l’accarezzi, le dai i buffetti, la pizzichi, la palpi.” Come la città, anche quello di KANZ è un universo tattile e liquido, in cui gli oggetti, quando non sono bolle d’acqua (come i bicchieri Bubble), o onde nei canali (come il porta incenso Soufflè), non lasciano il tatto a desiderare: la teiera M.u.m. ha una superficie materica e rocciosa e i vasi Dervish hanno la stessa texture del vetro lavorato dei palazzi storici, così come la bottiglia Calabaza. Sì, Venezia vorresti toccarla, e i prodotti di KANZ sono così simili all’essenza della città che ci danno un po’ la soddisfazione di accarezzarla.
Quando ho incontrato Mauro Cazzaro e Antonella Maione nel loro studio e showroom in Campo S.Barnaba, ho parlato con loro soprattutto di questo: del loro rapporto con la laguna, e di alcuni dei progetti a cui hanno dato vita.
Primitivi è una serie di vasi in cui lo stampo di legno e il vetro che vi viene soffiato dentro si compenetrano e costituiscono l’oggetto finito, un ibrido di materiali molto evocativo: «L’idea è venuta proprio dagli stampi per il vetro che una volta erano fatti di legno; abbiamo pensato di realizzare dei vasi in cui lo stampo non fosse più qualcosa da rimuovere, ma diventasse parte integrante dell’oggetto stesso, dopo averci soffiato dentro il vetro». Guardando i Primitivi viene da pensare a fotografie di dettaglio dell’incontro tra l’acqua e il legno delle bricole – i pali logorati dal tempo che punteggiano la laguna. Quando parlo di questa impressione mi rispondono che il riflesso che vedo negli oggetti non è frutto di un intento: «Quello con la città è un rapporto inconsapevole, qualcosa di abbastanza naturale. A un certo punto, a vedere questo paesaggio tutti i giorni, a certi elementi ti ci abitui, ti entrano negli occhi». E la lingua che parlano gli oggetti è naturalmente quella del luogo in cui sono nati.
KANZ ha uno stile decisamente contemporaneo, che per questo è stato assimilato al design scandinavo e a quello giapponese. «Queste definizioni non ci dispiacciono ma sinceramente sono po’ limitanti… D’altra parte anche per essere “veneziani” siamo un po’ una mosca bianca, soprattutto nell’uso del vetro, perché il nostro è vetro borosilicato, non di Murano, e il borosilicato è visto dai muranesi come un vetro non nobile».
Il vetro borosilicato si lavora più o meno con le stesse tecniche di quello di Murano, come il soffiaggio o la lavorazione a fiamma ossidrica. Anche se viene considerato meno nobile, è molto più puro del vetro di Murano: nasce per applicazioni nella farmaceutica e nella medicina, dal momento che la sua trasparenza è talmente alta che non va a inficiare il colore del contenuto delle provette per le analisi. Per via delle sue caratteristiche, il borosilicato è un vetro molto usato nel design contemporaneo, sempre alla ricerca dell’essenzialità. «A noi però piace il colore» dicono «E forse questo è un nostro tratto molto veneziano, un po’ barocco…». I KANZ sono affascinati dalle tinte del vetro di Murano e se ci fate caso, nei loro oggetti noterete sempre una sfumatura gioiosa e colorata. Quando chiedo cosa li tiene legati a Venezia, mi dicono: «Non riusciamo ad immaginare un altro posto in cui vivere. Dove potremmo fare il nostro lavoro se non qui?»
Il legame di Mauro Cazzaro e Antonella Maione con la città non è solamente sentimentale, ma soprattutto produttivo: col loro lavoro di designer, i due hanno messo in piedi una vera e propria filiera in grado di esprimere al massimo le potenzialità del loro design, della materia che lavorano (principalmente il vetro e il legno), e dell’artigianalità contemporanea locale.
«Abbiamo un rapporto molto stretto con le officine e gli artigiani, siamo sempre in contatto con loro. Non è stato facile trovare la figura giusta che ci accompagnasse: qui la cultura artigianale è quasi “integralista”, è difficile trovare chi, pur facendo tutto a mano, sia disposto ad accettare la logica della ripetibilità del pezzo e a lavorare in modo sperimentale.»
E l’approccio sperimentale, nel loro lavoro, si vede. «Disegniamo la forma sempre confrontandoci con l’artigiano che la realizzerà. È andata così per la Bricola: abbiamo fatto un disegno e lo abbiamo rivisto con l’artigiano, che ci ha messo un po’ del suo anche e lì, davanti al tornio, abbiamo fatto delle prove». Anche i porta candela Mistake hanno preso forma in officina: «Il primo Mistake nasceva da un disegno, poi abbiamo voluto farne altri con lo stesso concetto: con l’artigiano abbiamo provato ad inventare altri tipi di strozzatura del vetro, che potessero essere controllabili…Ne abbiamo provate tantissime. Infine, volevamo che dalla forma emergesse un gesto, e che il prodotto costasse poco. Sui Mistake abbiamo lavorato così: in una logica di prodotto in serie, accessibile, che racchiudesse però in sé il piacere dell’errore e dell’irreplicabilità della lavorazione manuale». Infatti, aggiunge Cazzaro, «Lavoriamo solo con artigiani. La produzione industriale non fa per noi: ci limiterebbe troppo come numero di pezzi e diventerebbe difficile da gestire. Siamo piccoli, ci piace esserlo e poter gestire tutto direttamente. I numeri cominciano a diventare alti, ma gli artigiani tengono botta.»
La filiera che hanno costruito in questi anni, dicono, «È nata spontaneamente, senza che ce ne rendessimo conto. Ormai da una decina d’anni il lavoro artigiano si è evoluto in questo senso: chi è sopravvissuto alle varie crisi economiche degli ultimi quindici anni ce l’ha fatta perché è riuscito ad evolversi ed aprirsi a progetti nuovi, iniziando delle sperimentazioni.»
L’esperienza di Mauro Cazzaro e Antonella Maione non è unica e fa parte di un panorama contemporaneo che si allontana sempre più dal mondo industriale che ha reso il Made in Italy famoso nel mondo. Oggi, il Design sta cambiando paradigmi, obiettivi, strumenti e anche atteggiamento: è Non Industrial Design. In questo caso, un design spontaneo, fatto di ricerca e sperimentazione, si è dimostrato in grado di sfruttare e valorizzare le risorse dell’artigianato locale, di creare reti e sinergie, di essere così poco tradizionale e allo stesso tempo così tanto “veneziano”. E se passate in Campo S. Barnaba, fate un salto nel loro showroom.