DT – Buongiorno Leonardo, ti si può definire una giovane promessa o un designer giovane? Ti piace questa etichetta o non ti senti parte di una generazione che sta entrando all’interno del design system? 

LT – Mi sento un designer giovane perché anagraficamente sono giovane, lavoro però da molti anni perché ho iniziato le mie prime collaborazioni a vent’anni, quindi a vent’anni avevo già dei pezzi in produzione per diversi brand. Ti direi quindi giovane anagraficamente, ma con una carriera avviata. Mi fa piacere essere chiamato ancora giovane, mi farà piacere anche tra vent’anni, però inteso come anima o spirito.

DT – Tu sai che in Italia i designer e gli architetti sono giovani praticamente fino a 50 anni…

LT – Io penso che andrebbe un po’ cambiata questa visione perché in tanti settori creativi già a 30 anni si è maturi professionalmente e si dirigono aziende che fatturano milioni di dollari: penso ad Alexander Wang che ha 32 anni e che nel suo settore viene messo allo stesso livello di Miuccia Prada. Nel design invece si fa un discorso di cultura stratificata, non solo di tendenze… Di conseguenza dove ci sono grandi maestri, grandi nomi, un giovane tende a fare fatica a farsi conoscere rispetto a qualcuno che ha sessant’anni di esperienza alle spalle. Questo va benissimo ma forse bisognerebbe ridare valore alla parola “giovani”. 

DT – Una curiosità sul tipo di progettista che sei: che tipo di linguaggio hai sviluppato nella tua esperienza professionale e come ti definiresti a una persona che non sa niente di design? 

LT – Sono una persona curiosa, ambiziosa, una persona che preferisce ridurre piuttosto che aggiungere. Mi piace “less is more”, mi piace lavorare su piccole intuizioni. I miei prodotti sono tutti molto puliti però mi piace che non siano banali, con linee pensate e proporzionate. La mia idea è quella di creare oggetti con una forte identità.

DT – Hai un mondo artistico a cui ti riferisci particolarmente in fatto di ispirazione? Alcuni designer preferiscono il mondo della fotografia, altri il mondo dell’arte, tu fai riferimento a qualche maestro del design?

LT – Sicuramente mi piace guardare e osservare con attenzione un po’ tutto, anche ciò che non è molto affine a me. Nel mio caso, visto che lavoro spesso per sottrazione, è l’arte il mio campo di riferimento. Guardo con interesse un po’ tutto ma sinceramente non traggo ispirazione da niente. Cerco di disegnare qualcosa partendo dai miei concetti base di spazio, dimensione, forma e funzione. Prendendo le mosse da qualcosa di idealmente tridimensionale lo disegno come se fosse un quadro in due dimensioni e poi approdo alla terza.

DT – Parliamo di uno dei tuoi ultimi progetti per Dieffebi, si chiama NIA ed è una seduta che tu definisci “panca”, secondo noi in maniera riduttiva

LT – Mi piaceva l’idea di un tipo di seduta che potesse galleggiare sopra una struttura esilissima in metallo. Il progetto è quello di una seduta contract da mettere all’ingresso delle zone living, dove magari le persone passano per poco tempo e riescono anche a prendersi un caffè o a lavorare con l’iPad per dieci minuti. Trovo il disegno della panca molto personale e ben definito anche quando viene inserito in contesti studiati dall’azienda come fiere e show room che ne esaltano le linee formali. Il rapporto con Dieffebi è molto recente, sono stato contattato dall’art director dell’azienda Elisa Ossino e abbiamo approfondito meglio un po’ il tema della purezza e delle lavorazioni digitali in un recente viaggio fatto insieme. Con Elisa ci siamo trovati subito molto bene, loro sono persone molto piacevoli e l’azienda è bellissima. 

DT – Secondo noi questa è la fortuna del design italiano fatto in un certo modo; avere degli imprenditori che hanno una visione aziendale molto precisa, un linguaggio formale estetico molto preciso e riescono a trovare i partner giusti per tradurre la loro filosofia in prodotto e in mercato naturalmente. Come è stata declinata la palette degli elementi in metallo e tessili?

LT – La scelta è stata quella di introdurre un colore scuro, uno chiaro e due medi che però possono dialogare assieme con dei tessuti che ragionano con quella stessa scala cromatica. In quanto prodotto pensato per il contract, le combinazioni possono essere più importanti come nel caso del bianco per la struttura sottile, esile, minimalista e purista in abbinamento col nero per il rivestimento tessile oppure una combinazione con colori terrosi per fornire un’atmosfera più calda e accogliente.

DT – Vorrei chiudere con una nota di colore e una domanda diretta al designer: da piccolo sognavi di fare questo mestiere?

LT – Sono diventato designer perché la vita mi ha portato qui, la mia passione è sempre stata quella. Sono sempre stato una persona creativa e la mia creatività era legata anche a una visione tecnica, sapevo che non sarei mai diventato un avvocato. Aggiungi passione per l’estetica, un po’ di fortuna, ed eccoci qui.