Giulia Soldati, classe 1990: nata a Vanzago, alle porte di Milano, è una giovane promessa del food design, italiano ed internazionale.
Laureata alla NABA di Milano in Design del prodotto, scopre la sua strada professionale e creativa dopo aver conseguito il master in Social Design alla Design Accademy di Eindhoven. Oggi vive e lavora in Olanda, ad Amsterdam, mantenendo sempre un legame stretto con l’Italia (con Milano in particolare) dove, negli ultimi anni, si sono svolti molti dei suoi eventi e delle sue social dinners.
Scopre, e si avvicina, al food design durante la preparazione della sua tesi di laurea, con un approccio incentrato più sulla ricerca e la creatività che sulla teoria. Il cibo per lei è condivisione, sperimentazione e soprattutto legame con la materia prima, con la terra, e al tempo stesso motivo di relazione, e conversazione, tra culture e “mondi” differenti.

Oggi io, e la redazione di Design Tellers, abbiamo avuto la possibilità di conoscerla e di scoprire le origini del suo lavoro e del suo concetto di food design.
DT – Approfondendo il tuo percorso professionale, si osservano un ritorno al contatto diretto col cibo ed un approccio originario alla materia prima, quale è la sostanza della tua idea di food design?
GS – La mia idea si fonda in gran parte sulla ricerca del ritorno ad un approccio primordiale ed istintivo con il cibo: il progresso e la smisurata tecnologia, di cui disponiamo nelle nostre case, ci ha fatto dimenticare la manualità e il modo in cui le materie prime hanno origine e vengono cucinate. Di conseguenza, abbiamo perso la vicinanza al cibo e la consapevolezza di ciò che mangiamo. La mia idea si fonda sulla coscienza e la conoscenza di ciò che ingeriamo: perché solo toccando il cibo e comprendendo ciò che stai assumendo vivi un’esperienza diversa.

DT – Nelle tue eating experiences ci si libera totalmente di qualsiasi “strumento” tra l’uomo e il cibo (posate, piatti …). Come si approcciano e quale è la reazione dei commensali di solito?
GS – Molti sanno già cosa aspettarsi perché conoscono me e il mio lavoro. Sono sempre tutti molto curiosi, hanno voglia di sperimentare qualcosa di diverso e apprezzano molto l’aspetto conviviale dei miei eventi, che avvengono sempre in gruppo e in compagnia. Alla fine dell’evento noto sempre che gli invitati escono molto uniti e in relazione tra di loro.
DT – Durante la tua performance, in che modo avviene la composizione dei “piatti” e quale è il tuo ruolo in relazione ai commensali?
GS – Il mio ruolo è quello di guidare, dall’inizio alla fine, l’esperienza e di introdurre i piatti spiegando come avverrà la composizione. Si comincia sempre con il rituale di lavarsi le mani (che sono lo strumento principale dell’esperienza) tutti insieme, riprendendo un’usanza orientale ancora molto diffusa. Si segue un ritmo ben preciso e molto “lento”:ogni portata viene illustrata, viene spiegata la posizione che la mano deve assumere e in che modo verrà servito il cibo per poi essere portato alla bocca. Dopodiché gli ingredienti vengono serviti uno dopo l’altro e a tutti contemporaneamente e in maniera partecipata.
DT – Sul tuo sito ci sono degli schizzi realizzati durante una ricerca e uno studio sulle mani e sulla sua anatomia, in cosa consiste? Cosa hai scoperto?
GS – Ho studiato e approfondito l’anatomia della mano e la posizione che essa può assumere per accogliere un cibo piuttosto che un altro. Un ingrediente può ispirare una determinata posizione della mano o viceversa. La mano è molto complessa e molto delicata: già prima di gustare un cibo, a contatto con la mano, riusciamo a percepire molte cose: la consistenza, il calore e abbiamo una pre – esperienza già prima di portarlo in bocca.
DT – Quali sono stati, se ci sono, i riferimenti, nel mondo del food design, che ti hanno ispirato ed aiutato ad elaborare la tua idea?
GS – Ricordo una mostra, che ho visitato a Maastricht, di Ferran Adrià (il padre della cucina molecolare), che mi ha colpito molto per l’approccio alla creazione dei piatti: Ferran si basa su un processo creativo molto importante (che accomuna molti ambiti, non solo l’arte) elaborato tramite schizzi, schemi, annotazioni, appunti. . . Ho cercato di usare lo stesso metodo anche nella mia ricerca e nella mia idea, attingendo anche da altri processi compositivi, come la coreografia della danza o uno script teatrale. Così come una coreografia o uno spettacolo teatrale, anche le mie esperienze hanno un inizio, un ritmo e una fine, scandite da momenti ben precisi.
DT – Quanto il tuo essere italiana, e conoscere la nostra cucina, che è una delle più buone e famose al mondo, ti ha aiutato e influenzato nel tuo lavoro?
GS – Noi italiani abbiamo un rapporto quasi emotivo con il cibo, che magari all’estero manca o non è presente allo stesso modo. Nella nostra cultura abbiamo la sensibilità di dar valore ed esaltare pochi ingredienti: semplici e di qualità e facilmente riconoscibili, come può essere una pura goccia d’olio su una mano e il sapore che ti lascia in bocca.
DT – Alla luce della crisi sanitaria che tutto il mondo sta attraversando, in che mondo pensi sia possibile, se lo è, adattare il tuo lavoro in relazione al contesto critico che stiamo vivendo?
GS – Durante il Covid lavoravo in un ristorante all’interno di un centro d’arte contemporanea ad Amsterdam e durante il primo lockdown, in cui siamo stati obbligati a rimanere chiusi, abbiamo sfruttato questo tempo per capire in che modo potevamo riaprire e ricominciare la nostra attività in totale sicurezza. Abbiamo riutilizzato delle serre all’interno del ristorante, che erano inutilizzate da molto tempo, attrezzandole con dei tavoli e creando degli ambienti più intimi e protetti. Da lì abbiamo capito che poteva funzionare e che poteva esserci una speranza in un momento molto buio.
DT – Hai dei nuovi progetti o delle nuove performances a cui stai lavorando? Possiamo sperare di incontrarti qui a Milano?
GS – Mi piacerebbe moltissimo poter tornare a Milano ed organizzare qualche evento, ma è molto difficile in questo momento programmare qualcosa. Mi sto dedicando alla ricerca, al mio lavoro e a trovare una nuova idea di convivialità post Covid: nella speranza di tornare presto alla normalità, al contatto diretto con la gente e col cibo.
Photo credits: © Giulia Soldati, © The Big Now, © Mattia Ramunni, © Ingri Taro, © Simone Cantafio, © Alberto Buratti, © Luca Rosati, © Guido Van Nispen, © Yen-An Chen