Abbiamo incontrato Gio Tirotto a Milano nello spazio Fenix Scenario in centro, in un mattino in cui prendere un caffè al bar prima dell’intervista ci è sembrata una nuova e inaspettata libertà; e subito siamo entrati in confidenza, tanto da potergli fare domande a 360 gradi sui suoi progetti e sulla sua attività di progettista.

DT – Ciao Gio, siamo felici incontrarti qui, nello spazio di Fenix Scenario che so essere uno dei tuoi più recenti e felici progetti di interior. Come è nata questa esperienza progettuale e qual è la tua interpretazione di uno spazio espositivo di questa tipologia?

GT – Si hai ragione è stato un progetto lungo e complesso perché la richiesta è stata quella di riuscire a trasmettere la contemporaneità attraverso uno spazio che riuscisse a far vivere più esperienze possibile al visitatore. La nostra più profonda ricerca si è basata quindi su tutto quello che accade oggi negli spazi retail, negli spazi pubblici o pubblici, anche culturali e abbiamo cercato di trasportare qui dentro la stessa complessa sensazione. Siamo arrivati a concepire un progetto che avesse come concept di base il teatro, proprio per avere la massima elasticità possibile, nel senso che il teatro è una struttura che serve si per lo spettacolo ma anche ovviamente per la comunicazione. Fenix scenario è quindi nato ed è diventato un luogo, non uno showroom ma un luogo, dove il visitatore può essere partecipe ma lo stesso tempo vivere un’esperienza diversa e differente dal solito.

DT – Uno spazio quindi che celebra e racconta un materiale versatile e altamente performante: che rapporto hai con i materiali all’interno dei tuoi progetti? Sono loro ad ispirarti o prendi le tue ispirazioni da direzioni differenti?

GT – Prendiamo ad esempio questo progetto che è sicuramente già molto performante in sé e cerchiamo di spiegarlo: la richiesta del cliente era di parlare anche “con” questo materiale non soltanto “attraverso”. Un mezzo poi lo diventa per forza perché questo materiale, essendo una superficie, ti permette non solo di vestire gli interni come si desidera a livello grafico e funzionale ma anche fare prodotto, utilizzandolo per gli elementi di arredo.
Per poter arrivare all’idea, alla base c’è sempre la ricerca semantica; ovviamente il Fenix mi ha sempre affascinato per il suo rapporto con la luce, perché avendo un riflesso quasi azzerato si può parlare quasi di colore e non di materiale.
Quando qualcuno arriva all’interno dello spazio Fenix Scenario la prima cosa che vede è il colore, come esso si comporta in base alla luce, da qui nasce automaticamente una volontà di utilizzo come strumento per raccontare storie in precisi luoghi.

DT – Facciamo un piccolo passo indietro fino allo scorso autunno e ti chiederei di raccontarci la genesi e lo sviluppo del progetto 208 a Rimini, dove hai realizzato un’installazione di luce proprio sotto il ponte di Tiberio.

GT – Credo che la forza del progetto 208 e della boa luminosa sia proprio nella lettura ambigua che possiamo dare del progetto. Inizialmente è un contenuto profondo su cui discutere, quindi 208, la coesistenza, il momento che stiamo vivendo, la luce come emozione.
Assieme a tutto ciò, coesiste anche la lettura semplice, quella più popolare, per cui passeggiando sul ponte posso godere di questa lampada a pelo d’acqua che sia decorativa o meno, ma spero sempre di ispirazione.

DT – Mi sembra di capire che progettare un oggetto come una lampada ti metta molto a tuo agio, è uno dei tuoi oggetti preferiti?

GT – Diciamo che in ogni progetto mettiamo in atto sempre una ricerca profonda, sia che si tratti di spazio o di prodotto, ecco perché credo che la luce, e quindi la lampada, sia l’intersezione perfetta dell’analisi progettuale.
Una stanza viene disegnata architettonicamente già dalla finestra che fa entrare la luce, poi l’oggetto interno lo puoi vedere attraverso l’illuminazione. Disegnare una lampada è un po’ il culmine progettuale per un designer, almeno per quanto mi riguarda, ed è talmente emozionante lavorare con impostazione tecnica per arrivare a trasmettere una sensazione o un’emozione che credo sia un davvero la parte più interessante della mia ricerca.
Le lampade sono oggetti difficili e nella loro complessità ti appassionano, ti fanno venir voglia di provarci, di studiare e di misurarti. Credo che un oggetto che riesca a creare un’atmosfera regali molta più emozione di altri, senza alcuna discriminazione per la povera sedia, per esempio, che rimane essere sempre un archetipo colonna portante della mia ricerca.

DT – Nel 2019 il MOMA Design Store ha inserito il mappamondo Coexist nel suo catalogo: credo sia un giusto riconoscimento che parla dell’internazionalità del tuo lavoro e del tuo gusto. Come hai preso questa notizia?

GT – L’ho presa molto bene! (ride…) È stato assolutamente inaspettato e non sarebbe stato così divertente se ci avessi sperato in qualche modo. Una sera ti vedi recapitare una e-mail che potrebbe anche essere dello spam e poi invece ti rendi conto che è seria. È stata un’esperienza che mi ha dato molta felicità perché è stata un’occasione per conoscere nuove persone. Stiamo parlando del 2013 o 2014 e quindi è stata un po’ una partenza che mi ha fatto conoscere per esempio Maria Cristina Didero, e anche Claudio Pignatale di Secondome Gallery che mi ha dato la possibilità di realizzarlo. Se vogliamo catalogare questo oggetto facciamo un po’ fatica, viene chiamato prodotto ma alla fine chiamarlo prodotto è strano perché non si sa dove posizionarlo, se è una scultura, se è uno strumento… È comunque un prodotto che mi ha fatto sentire un po’ come se avessi disegnato una lampada, perché il vetro lo rende simile ad una lampada, il passaggio della luce attraverso il globo ci permette di guardare il mondo da un altro punto di vista, questa è la sua funzione, immaginare.
La riflessione progettuale sulla trasparenza e sulla distanza ci suggerisce che guardando la mappa in quel momento e in quel punto, dall’altra parte del mondo c’è qualcuno che forse sta facendo e pensando la stessa cosa e questo contenuto rende Coexist una realtà molto borderline tra design e arte.

DT – Se ti chiedessi di condensare la tua filosofia di progetto in una definizione?

GT – Non è facile… ma posso utilizzare questa frase precisa, che uso molto spesso: mi sento come un ponte che parte dall’idea e che arriva al messaggio. Questo ponte è proprio il design che è lo strumento per arrivare alla comunicazione dell’idea.

Photo Credits:

RITRATTO: Ph. Federico Villa
FENIX SCENARIO: Ph. Federico Villa
COEXIST: Ph. Serena Eller