Luca Nichetto non ha più bisogno di presentazioni in quanto creativo e designer, la sua estetica è definita e personale, i progetti dello studio sono precisi e frutto di un’attenta pianificazione sia del prodotto che della comunicazione. In quanto attore principale dello sviluppo del design internazionale, abbiamo voluto incontrarlo nuovamente e indagare su quelli che sono gli aspetti meno visibili e più intriganti della sua attività.

DT – Buongiorno Luca, siamo casualmente seduti sulla tua ultima collezione Paradise Bird outdoor disegnata per Wittmann, ci racconti qualcosa della tua collaborazione con quest’azienda? So che dura da molto tempo…

LN – Questa è un’azienda molto importante nel panorama del design internazionale e la conosco da quando ero studente grazie al rapporto che avevo con Paolo Piva che ne era già art director. Intorno al 2018 sono stato contattato da loro per disegnare una collezione che ha impiegato un paio di anni per vedere la luce e quando era tutto pronto per il lancio abbiamo dovuto interrompere a causa della pandemia. Nel 2021 mi è stato quindi chiesto di seguire l’art direction per l’azienda, ruolo che ho accettato come un grande onore.
La prima attività che abbiamo affrontato è stata la preparazione di una road map per creare un catalogo di design che potesse aiutare l’azienda a internazionalizzarsi. E poi abbiamo iniziato a lavorare layer dopo layer.
Quest’anno finalmente si vedono i risultati di questi due anni e mezzo di art direction e i nuovi prodotti presentati nel 2023 sono il frutto di questo processo. Abbiamo cercato di spostare la percezione dell’azienda da una macro collezione realizzata con differenti designer ad una più specifica che lavorasse invece su pezzi mirati.
Come Studio Nichetto quest’anno infatti abbiamo presentato una nuova collezione outdoor che rappresenta un’estensione della collezione Paradise Bird per interni e poi la famiglia Figure, un divano-panca a sistema modulare abbastanza strano che può funzionare bene come product statement, molto flessibile e con una doppia anima contract-casa.


DT – Che tipo di timeline ti sei dato per questo progetto?

LN – Ho preparato tutta la roadmap fino al 2025 con una traiettoria molto precisa, penso che adesso l’azienda possa godere anche di maggiore indipendenza rispetto al lavoro iniziale, che era quello più strategico. Abbiamo composto un team molto interessante formato anche da creativi, grafici e fotografi. Come art director penso che la prima fase dl mio lavoro sia conclusa, la strada è tracciata.


DT – Vorrei parlare un po’ dell’attività dello studio riprendendo un tema dal nostro ultimo incontro, quello delle realtà aziendali che ti invitano per disegnare secondo precisi dettami commerciali prestabiliti e con poca attenzione al design.
Da quel momento, era forse il 2019, abbiamo visto nascere la collaborazione con Hermès, il pianoforte Gran Nichetto per Steinway & Sons, le lampade Easy Peasy nella serie Netflix Emily in Paris.
C’è una nuova direzione nel lavoro dello studio negli ultimi anni che apre verso esperienze un po’ “off” rispetto al design classico?


LN – Sì, sicuramente esiste e rispecchia un’esigenza personale molto forte. Credo che il sistema design non abbia più la forza di innovare ogni volta e questo crea in me un bisogno fisiologico di uscire da determinati schemi per trovare nuove energie creative. Nell’affrontare tematiche nuove con dinamiche completamente diverse, con esigenze completamente diverse, ritrovo ispirazioni che mi permettono, quando rientro in questo ambito, di avere più freschezza nel pensare in modo innovativo. Il mercato furniture è ormai oltre la saturazione e spesso non si crea design ma solo stile, a livello di innovazione di prodotto c’è pochissimo. Il mercato attuale ha portato poi a non sviluppare il coraggio di innovare, ad avere un ritorno quasi immediato dell’investimento economico. Quindi si non si rischia mai.

DT – Soprattutto la scala del mercato globale porta ad immobilizzare il processo dell’innovazione

LN – Esattamente, quando i grandi gruppi dettano le regole del mercato spingono le realtà imprenditoriali più piccole a commettere un grosso errore, e cioè seguire quelle regole senza avere i muscoli per farlo. Al contrario, le aziende più piccole dovrebbero sempre cercare di creare un’unicità specifica, per non andare in concorrenza diretta e trovare una nicchia dove potersi permettere di essere complementari alle realtà più grandi.

DT – Eppure la più grande innovazione l’abbiamo vista fare nell’epoca classica del design da aziende molto piccole…

LN – Perché c’era più innovazione anche dal punto di vista materico, no? Nell’ambito del mobile oggi è difficile trovare un’innovazione rivoluzionaria come quella della tecnologia LED nella luce, per esempio.

DT – Chiudiamo con una nota di colore, in questi anni hai traslocato la tua realtà professionale.

LN – Durante la pandemia il mio landlord in Svezia ha avuto la brillante idea di darmi lo sfratto per aumentarmi l’affitto. Cercando un nuovo spazio ho trovato un mercato immobiliare impazzito, si parla di 7.000 € al mese per 200 metri quadri. Non desiderando più lavorare in uno spazio asettico e volendo investire nell’attività, mi sono chiesto: ma se potessi comprare una villa e trasformarla? Così ho trovato questa villa a 10 minuti a piedi da dove vivo, perfetta, con il giardino. L’ho comprata immediatamente e dopo pochi mesi abbiamo cominciato i lavori e siamo entrati.
A volte spendo più tempo col mio team che con la mia famiglia, quindi lavorare in un contesto dove posso testare se i progetti che ho realizzato funzionano in un ambito domestico reale, usandoli e vivendoli, per me è il contesto perfetto. Inoltre c’è il giardino e quando comincia la bella stagione in Svezia si può uscire e lavorare in esterno, ed è uno dei motivi per cui siamo seduti su una linea per l’outdoor. Naturalmente siete tutti invitati a vedere il nuovo studio.

DT – Veniamo di sicuro.

LN – Quando volete, preparo il barbecue.