La facciata è in mattoni neri. Fra gli altri edifici simili che gli stanno a lato, stretti e piuttosto bassi, giallo ocra, questo si distingue per il colore eccentricamente scuro che, così opaco, sembra arretrare, stagliandosi in modo diverso sull’azzurro del cielo. Paradossalmente, l’incapacità del nero di riflettere luce lo fa risaltare, per differenza, sul resto della scena. Al cancello, un’insegna su fondo giallo: Das kleine Schwarze, piccolo e nero, in italiano.

© Felix Krebs

Per noi boomer, la vicinanza dei due aggettivi provoca un salto indietro nel tempo di ben sessant’anni, rievocando il pulcino nero, emarginato e incompreso, diverso a causa del suo colore. È Calimero, il tenero protagonista della pubblicità di un detersivo, che incarna le caratteristiche del brutto anatroccolo fuse allo stereotipo, addolcito, della pecora nera. La sua figura ovoidale – un contrasto polare fra le piume corvine e il guscio immacolato che porta in testa, forse per ripararsi dalle avversità della vita – rappresenta, nella memoria, l’archetipo dell’escluso, del perseguitato per la propria diversità. Una volta lavato, il pulcino appare bianco e splendente. Miracolo del prodotto, che gli concede il privilegio della bellezza, o omologazione? Secondo l’Osservatorio Neologico della Lingua Italiana, per antonomasia, chi è ingiustamente preso in scarsa considerazione può essere definito Calimero. “Quando un personaggio genera un neologismo, esso ha infranto la barriera dell’immortalità, è entrato nel mito” scrisse Umberto Eco.  

Nostalgiche divagazioni a parte, Das kleine Schwarze, che si trova ad Amburgo in un tranquillo viale alberato, è un piccolo hotel, le cui pareti esterne, dipinte di nero, lo rendono atipico, diverso dai grandi, candidi, lussuosi alberghi del centro. Insolito lo è davvero: oltre a dare alloggio agli ospiti, le otto stanze – ognuna con caratteristiche e colori decisamente singolari – ospitano mostre personali d’arte contemporanea, che vengono dismesse e rinnovate ogni tre anni.

Il significato del suo nome è ben distante da ciò che inizialmente aveva evocato in me. La struttura è essenziale, elegante e seducente proprio come il vestitino nerola petite robe noire – disegnato da Coco Chanel nel 1926, il capo di abbigliamento che ha trasformato la moda femminile, assurto a simbolo, indimenticabile e intramontabile, di innovazione. Così è l’offerta della minuscola struttura ricettiva.

L’ingresso è scenografico: una parete verde erba, dai contorni fuxia, accoglie un enorme dipinto espressionista, in acrilico, opera della pittrice Bettina Merz – scenografa e costumista in passato – proprietaria dell’albergo con il marito Ralph, il designer che ha realizzato l’opera stampata su carta per tappezzare la hall, il vano scala e la sala adibita alla colazione: figure e segni grafici in successione convivono nel progetto, che si dipana in un continuum di tinte sature e lucide. È un contrasto di colori puri messi in luce dal nero e attenuati dal bianco, che procedono in un crescendo di emozioni, segnando il percorso che condurrà alle stanze. È evidente: il colore, qui, ha intento meramente scenografico, evocativo, avvolgente; è libero da vincoli di ogni tipo, se non quello dell’espressione.  

© Carla A. Bordini Bellandi
© Carla A. Bordini Bellandi

Ogni stanza – molto confortevole e progettata secondo i più recenti standard ambientali – rappresenta un mondo a sé stante: sculture, quadri, fotografie compongono piccole installazioni che risiedono nel contesto appositamente concepito per ospitarle, nel quale gli oggetti non sono posti su un piedistallo bensì inclusi in una scena ideata affinché essi possano esistere e risuonare insieme allo scorrere delle vite di chi vi soggiornerà per un periodo di tempo.

Ambienti color gesso si alternano, così, a spazi coloratissimi, scenari di potenti contrasti complementari. Le pareti, tinte o rivestite, interagiscono con il mobilio in un dialogo evidente, funzionale all’intento espositivo, che vede opere contemporanee coesistere con oggetti vintage, esposti su sfondi che ne evidenzino i volumi. Nella stanza che occupiamo per la notte, la collezione di fotografia contemporanea dei Merz campeggia su muri verde salvia, capaci di dare enfasi ai bianchi e neri contrastati, così come alle tinte forti o desaturate delle foto a colori.

Nel giardino sul retro, fruibile dagli ospiti, la facciata in mattoni – su questo lato color mastice verdastro – si fonde con il verde multiforme di arbusti, cespugli e fiori ben curati benché non “addomesticati”, che rivelano l’amore della famiglia Merz per una natura rigogliosa e capace di esprimersi. Un rosso complementare traccia i profili delle finestre, disegnando interferenze grafiche necessarie all’estetica del paesaggio.

© Felix Krebs
© Carla A. Bordini Bellandi

La sorpresa ci coglie quando cala la luce. In fondo al giardino, un vecchio camper perfettamente conservato, anch’esso uno spazio in cui dormire, è l’ossimoro materializzato in un’opera site specific: sul tetto, l’insegna luminosa Dunkel (buio) si erge, rossa fiammante, su un cielo blu scurissimo.

Photo cover credits: © Carla A. Bordini Bellandi