Come sempre, la Milano Design Week 2023 appena terminata ha visto il colore, o la sua assoluta mancanza, spiccare come elemento fondante di comunicazione con il pubblico. Premesso che il colore stesso – insieme a forma e materia – è ciò che spesso nelle cose che guardiamo ci colpisce per primo, a stimolare il nostro immaginario è anche, o soprattutto, il retroterra di simboli e metafore, di relazioni che esso suggerisce. Le due realtà, però, sono interconnesse.
Il colore che percepiamo come parte inscindibile del lavoro del designer è ben rappresentato dall’installazione Color Waterfall, una collezione di arredi, lampade e opere d’arte realizzata da Draga Obradovic e Aurel K. Basedow – una coppia di artisti designer eclettici – esibita nel contesto espositivo della galleria Rossana Orlandi, in via Matteo Bandello 14, nella sezione RO-Collectible.
Densi e corposi, i colori della resina epossidica con la quale oggetti e opere sono prevalentemente realizzati, si accendono della luce che il materiale, trasparente, è in grado di trasmettere: l’interazione fra colore e materia gioca un ruolo fondamentale nell’estetica dei singoli elementi d’arredo, che diventano – per loro stessa essenza – parte di una rappresentazione scenografica evocativa di suggestioni coinvolgenti, giocose e spensierate, espresse dai nomi emblematici attribuiti ai singoli pezzi: le lampade Joy e Ray, i tavoli Jade e Rainbow… Il contenuto cromatico dei singoli elementi è notevole: non esiste pezzo, oltre a quelli policromi, che non sia almeno parzialmente colorato.
© Federica Lissoni
Parte integrante del lavoro di Draga & Aurel è il contrasto stridente che assume i connotati di un dialogo creativo stimolante, fra materiali opposti e complementari tra loro nelle caratteristiche. La durezza impenetrabile del cemento si oppone alla naturale permeabilità alla luce della resina, così tipicamente limpida da sviluppare sfumature di colore di incomparabile profondità e bellezza: l’oggetto si anima della luce che trafigge la materia colorata, dando vita a superfici ricche e intense, lucide e vibranti, contrapposte ad una opacità assoluta, aspra e acromatica.
“La contemplazione del colore provoca una vibrazione sull’anima” affermava Wassily Kandinsky, precursore dell’astrattismo, nel suo Lo Spirituale nell’Arte. Per lui colore e musica non sono disgiunti e generano un effetto unico, profondo, sulla psiche di chi ascolta.
È alla visione di Brian Eno dell’analogia tra colore e musica, però – concretizzata nell’installazione ambientale Light Boxes del 2017 – che la coppia di creativi si è ispirata per realizzare il proprio progetto. In essa “paesaggi di colore” si formano attraverso combinazioni casuali di suoni e figure geometriche luminose, astratte, che si inseguono in un continuum ininterrotto, sempre diverso. Ciò che regola gli elementi è una sincronia irreale, in cui le variabili spazio e tempo non rappresentano più grandezze relative bensì riescono ad incontrarsi in un’unica dimensione fluida, nella quale finalmente la musica frena il proprio corso rapido per potersi avvicinare alla lentezza di una forma visiva statica. Quest’ultima, a sua volta, tenderà ad animarsi, per trovare un punto di incontro con la liquidità della musica, permettendo così allo spettatore di immergersi e fluttuare in uno spazio ideale coinvolgente: l’atmosfera morbida e seducente che si respira in Color Waterfall si nutre dell’equilibrio delle forze alle quali si ispira.
La presenza di lampade a led colorati e di elementi d’arredo che spesso fungono da accento cromatico vivace – la poltrona Beba, per esempio, una grande conchiglia con le valve dischiuse, dalla forma pura e accogliente – rendono il clima cromatico particolarmente variegato.
© Carla A. BB
L’installazione propone scenografie domestiche inedite: l’ambiente in cui vivere è uno scenario allestito per stupire, per essere ammirato, un set teatrale poetico nel quale ogni pezzo risente di un eclettismo che fonda le proprie radici nel miglior artigianato, nell’arte e nel design ricco di contenuti degli anni ’70, nel rispetto per il valore dei materiali e per la loro durata, al di là degli oggetti che essi costituiranno.
Come vivremo, invece, nel 2786? Il secondo esempio ci riporta una visione allarmante del futuro che traspare dall’ironica installazione dell’artista Agostino Iacurci, realizzata per GloTM, che è parte di un progetto itinerante con l’obiettivo di diffondere la cultura e sostenere l’arte.
Dry Days, Tropical Nights nasce dall’interpretazione del pensiero di Telmo Pievani, filosofo della biologia ed evoluzionista e di Mauro Varotto, geografo che, nel libro Viaggio in Italia nell’Antropocene, descrivono ai lettori i cambiamenti morfologici, attribuibili all’operato umano, che potremmo aspettarci tra 700 anni circa se l’atteggiamento sconsiderato e poco lungimirante dell’uomo verso il Pianeta rimanesse invariato: metropoli tropicali, paesaggi aridi desertici molto diversi da quelli che conosciamo.
Il piano terreno, ormai vuoto dopo il trasloco degli uffici comunali, grezzo e dismesso, e la facciata della Torre di Largo Treves 1, rappresentano il cuore dell’opera. L’artista ha usato il colore per descrivere l’atmosfera distopica, irreale di un’Italia post effetti del riscaldamento globale.
© Carla A. BB
La luce giallo acido che proviene dalle finestre illumina le pareti sbrecciate, erose dal tempo, comunicando disagio e senso di allucinazione. Quel bagliore irritante stride con i colori violenti, anch’essi luminosi, che accendono la struttura metallica di una simbolica palma svettante, solitaria, al centro di un deserto carico di presagi, ulteriormente infiammato dalle linee grafiche verticali rosso fuoco, poste a sottolineare il ritmo verticale degli elementi portanti. Non c’è un colore freddo, qui, che dia tregua all’arsura che i colori richiamano. In base alla posizione del sole rispetto alle finestre, poi, la qualità del giallo e della luce muteranno, rievocando giornate roventi o notti tropicali.
La vista trova riposo su cactus in neon verde evidenziatore, alternati ad altissime colonne decorate a motivi geometrici, che si slanciano verso il soffitto e sembrano letteralmente bucarlo: verde scuro e arancio contrastano con segni grafici neri; una combinazione analoga di luci abbaglianti – magenta, arancio, giallo – si staglia sullo sfondo, raffigurando fantomatiche porte che immaginiamo aprirsi su un “nulla” torrido e vagamente angosciante, che ricorda brucianti tramonti tropicali, edulcorati dalla presenza a tratti volutamente invadente del rosa.
Il colore, allegro e sarcastico ma opprimente, ci porta a presagire un domani oscuro, più vivibile solo se accettassimo di scendere a patti con le nostre abitudini, basate sulla visione di un pianeta che consideriamo a torto di nostra proprietà, come un’arancia da spremere fino all’ultima goccia; abitudini che cozzano con il rispetto sul quale dovremmo, invece, impostare il nostro stile di vita.
L’illusione dura fino a che l’illuminazione è accesa e un po’ di luce entra dalle finestre: in mancanza, lo spazio torna ad apparire freddo e consunto, destinato alla demolizione. Sarà anche questa una metafora? Siamo ancora in tempo però, come suggerisce Iacurci inducendoci a riflettere, per rallentare il corso degli eventi e cominciare a costruire, da subito, un domani migliore.
Photo cover credots: © Riccardo Gasperoni