Cuisinier du siècle, Meilleur Ouvrier de France, chef de l’année, semplicemente lo chef più talentuoso, umile e generoso – da un punto di vista sia umano sia culinario – della sua generazione. Con il suo impressionante palmarès di 32 stelle Michelin, Joël Robuchon, oltre a tutto il resto, ha stabilito un record difficile da battere.
Nato a Poitiers il 7 aprile 1945, il giovane Joël intraprende un percorso insolito: a soli 12 anni lascia la scuola per entrare nel seminario di Deux-Sèvres, dove inizia gli studi per diventare prete. Durante l’adolescenza, lavora fianco a fianco con le suore del convento, nei locali della cucina della chiesa: scopre così la sua passione per gli ingredienti freschi, le tecniche di cottura, il piacere nel nutrire gli altri. A 15 anni giunge una seconda illuminazione, e abbandona il seminario per avviare la sua formazione all’hotel Relais de Poitiers, inizialmente come pasticciere, dove scopre la chimica e la ricerca della perfezione.

Da quel momento in avanti, la sua carriera ha conosciuto un crescente successo: a 29 anni guida una brigata di 90 persone all’hotel Concorde Lafayette di Parigi. Nel 1976 vince il Meilleur Ouvrier de France, ed è all’hotel Nikko, nella cucina Les Célébrités di Parigi che ottiene le prime due stelle Michelin. Il suo primo ristorante, Le Jamin, inaugurato nel 1981, detiene il raro primato di ricevere tre stelle nei primi tre anni di esistenza e, soltanto tre anni dopo, viene nominato “Miglior ristorante del mondo”. Niente male per uno che ha iniziato miscelando minestroni nei pentoloni di peltro e sbucciando patate sui tavoli di legno di un convento.
Ricette semplici, alla portata di tutti, quelle di Robuchon, ma curatissime, sin nel minimo dettaglio, a partire dal piatto che da sempre e per sempre porterà la sua firma: il purè di patate, realizzato con la formula perfetta 1:1 (per 1 chilo di patate ratte, varietà piccola, dal retrogusto nocciolato, 500 millilitri di latte intero e 500 grammi di burro, rigorosamente francese), talmente delicato e avvolgente al palato che viene spesso, ancora oggi, preferito perfino al dessert.

A 50 anni, tra lo stupore dei colleghi, decide di ritirarsi: non vuole fare, dice, la fine di molti suoi coetanei finiti malati di stress e di cuore dai ritmi serrati delle cucine stellate. Inizia a scrivere libri e ricettari per rendere più accessibile la nouvelle cuisine (ne pubblica ben 18, il minimo per non stressarsi), fonda una rivista, conduce il programma tv Bon Appétit Bien Sûr. Non ultimo, apre e gestisce da lontano il suo Atelier de Joël Robuchon, i dodici ristoranti francesi gourmet da lui creati e stabiliti in lungo e largo nel mondo, da Hong Kong a Miami, passando per Tokio, Londra e Dubai. Tutti uguali, immediatamente riconoscibili, dall’arredamento contemporaneo, toni scuri, nero e rosso, lacche, bancone con preparazioni a vista, una sorta di “catena” a mo’ dei grandi brand del fast food, ma molto, molto più chic.

Joël Robuchon ci lascia nel 2018, a braccetto con Paul Bocuse. Con la sua scomparsa, si è creato un grande vuoto nel mondo della cucina stellata, ma il suo lascito resta indelebile e le sue stelle ancora brillano di luce propria nella costellazione della gastronomia mondiale.