Ci sono un sacco di cose da dire sull’ultima edizione di Edit Napoli.
Una di queste è che da tanto tempo non si vedeva una fiera dedicata al Design indipendente così ricca, appassionata e viva. Tra i corridoi del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, l’headquarter dell’evento di quest’anno, l’amore delle curatrici Domitilla Dardi ed Emilia Petruccelli per la loro creatura era percepibile in ogni dettaglio, a partire dalla presenza costante delle due tra gli stand e i progettisti.
La cosa che colpisce di più, dopo quasi due anni di morte apparente del sistema Design (che forse era soltanto in attesa di essere scongelato), è stata proprio la capacità di Edit di far incontrare – per di più a Napoli, luogo fisicamente e concettualmente distante anni luce dai saloni milanesi – designer, gallerie, curatori e tutte le personalità più varie provenienti dal mondo del progetto ma non solo.
Nel cuore della caciara di una delle città più belle e caotiche d’Italia, oltre 90 espositori provenienti dal panorama internazionale si sono resi portavoce, con i loro progetti, di una visione nuova e più umana del Design contemporaneo. E così l’incontro, lo scambio, e le connessioni sono meravigliosamente fiorite durante le tre giornate di evento, fuori e dentro le mura di Edit. A Edit la qualità non manca, mai. Ecco alcune delle mie scoperte preferite di questa edizione:
Naturaleverticale, un progetto di Jacopo Devescovi, è un’officina creativa con sede nella storica Pisa, e realizza meravigliose superfici in cotto naturale per interni ed esterni. Un prodotto artigianale di altissima qualità, realizzato nella fornace storica del 1200 (circa), nato dalla grande passione di Jacopo. Naturaleverticale ha presentato la sua ultima collezione Via San’Andrea 47, che prende il nome dall’indirizzo in cui si trova l’atelier, nel cuore storico di Pisa.
Atelier Malak è uno studio di Lione fondato da Malacou Lefebvre, che si è avvicinato alla progettazione dopo una carriera nella finanza aziendale: «Voglio raccontare un certo tipo di silenzio, evocare la contemplazione» mi ha detto parlando dei suoi mobili. Infatti il suo è un design sincero, in tutto. Davanti a un bicchiere di vino sulla terrazza in cui ci siamo incontrati una sera, Malacou parla della sua volontà di restare sempre sincero e fedele a sé stesso nella progettazione, e del fatto che siamo talmente immersi negli stimoli del mondo circostante che spesso, da designer, è difficile distinguere cosa nel progetto proviene da te e cosa invece dall’esterno. Per questo anche il silenzio è importante.
I Magdathome, con base a Torino, sono due: sono Simone Mussat Sartor e Pierfranco Giolito e dopo l’esperienza nella sartoria l’uno e nella lavorazione dei metalli l’altro, hanno lanciato una linea di arredi realizzati artigianalmente in metallo e cuoio, in cui si legge il loro gusto maschile. Il progetto prende il nome dalla Magda di Bianco, Rosso e Verdone, un simbolo iconico e non scontato della Torino in cui è nato il brand. I prodotti di Magdathome sono customizzabili e sono perfetti per interni e hospitality.
Durante la seconda giornata ho incontrato Marie Jeschke, co-fondatrice di Basis Rho, un progetto-processo messo a punto dal duo creativo Jeschkelanger che riutilizza gli scarti del vetro per “dipingere nella pietra” – come dicono loro – creando superfici simil-terrazzo per arredi, rivestimenti e interni. A Edit hanno presentato la loro collezione di vasi da fiori Architecture for flowers, una serie di elementi – piccole architetture per fiori – componibili e assemblabili realizzate con il loro composito colorato.
Finemateria, fondato a Milano da Stefano Bassan e Gianluca Gismondi, ha esposto il progetto Cutted Clouds, divano modulare realizzato in 3 spessori diversi di poliuretano espanso, ciascuno scelto per garantire comfort, elasticità e rigidità strutturale. Gli imbottiti di Finemateria fanno percepire la forma e la materia di cui è fatto il prodotto. Anche i rivestimenti scelti raccontano questa volontà di far vedere il “dentro”: due tessuti estremamente tecnici, uno semi-trasparente, e l’altro di nylon termo-sensibile, su cui lasciare le impronte del calore del proprio corpo. Bravi.
Isato Prugger, anche lui, bravo. Classe 1992 ha da poco fondato il suo omonimo studio e lavora tra Milano e le Alpi altoatesine, dove ha preso forma il suo ultimo progetto studio lamp, presentato a Edit. studio lamp è una serie di lampade da tavolo volutamente monolitiche, in cui il legno – lavorato a CNC e poi rifinito a mano, – viene valorizzato come materia scultorea con «l’intento di scolpire la forma della stabilità, una forma di fermezza stoica e silenziosa».
Infine, oltre alle mie personali preferenze, bisogna menzionare i vincitori di questa edizione, che sono stati annunciati solo qualche giorno fa da una giuria composta dai Formafantasma e Sight Unseen, tra gli altri. I vincitori sono Stamuli AB, con la loro sedia di alluminio piegato The Unstressed Chair, e se lo sono meritato. Nel Seminario, la sezione dedicata ai giovani under 30, la giuria ha scelto invece Alexander Kirkeby e i suoi vetri.
Insomma, bravi tutti.
In questo momento, a una settimana dalla conclusione dell’evento, sto ancora scrivendo con la playlist Napoli Centro come sottofondo, non riesco a togliermela dalla testa. E nemmeno riesco a non pensare all’energia di una fiera come Edit, così piena di idee e di amore per il Design.
Grazie Domitilla Dardi ed Emilia Petruccelli per averci portati tutti a Napoli.