Il Design può contribuire a rovesciare l’idea di morte che ciascuno di noi porta con sé, e le associazioni di oscurità e tristezza che restano appiccicate a questo concetto? È possibile un altro immaginario attorno al fine vita? Può il Design dare una nuova speranza- anche se metaforica- alla vita dopo la morte? La risposta è: forse, dipende da come la vedi. Senza dubbio però, alcuni designer hanno raccolto la sfida e provato a trasformare la morte in un’opportunità di progetto e, in alcuni casi, di rinascita. Se ci siano riusciti o meno non sta a me dirlo, ma è certo che la prospettiva da cui guardiamo alla morte stia progressivamente cambiando.
In una talk tenutasi nel 2019 durante la Helsinki Design Week, la service designer finlandese Marja Kuronen ha affermato che, studiando il topic della morte e dei possibili scenari futuri per i servizi funebri, aveva scoperto che le tradizioni a cui siamo abituati stanno giungendo a un punto di svolta. «Invece di irrigidirsi accanto a una tomba, molti di noi vorrebbero raccogliere e ricordare momenti felici o addirittura organizzare una festa per rendere omaggio al defunto.» Secondo lo studio di Kuronen, pare che la maggioranza crescente degli intervistati sceglierebbe l’opzione festa. Chissà perché.
Ironia a parte, alcuni fattori stanno intervenendo nel modificare la visione di ciò che vorremmo dalla nostra morte, rituali, sepoltura, e oggetti funerari inclusi: la digitalizzazione della quotidianità, l’urbanizzazione, l’esaurimento delle risorse naturali e la crescente sensibilità ambientale hanno fatto emergere la questione dei non più sostenibili sistemi di sepoltura contemporanei. Oggi per produrre una bara le norme richiedono tavole di legno massiccio ricavate da alberi ad alto fusto: piante a cui sono serviti 20 o 30 anni per crescere vengono impiegate per produrre un oggetto con un ciclo di vita di appena 3 giorni. Inoltre, considerando le sole cremazioni, che in Italia sono state 183 mila nel 2018, «ogni anno vanno in fumo circa 36.000 tonnellate di legname, equivalenti ad una superficie boschiva pari a 348 campi da calcio e con un rilascio di oltre 30 mila tonnellate di anidride carbonica.»
In parole povere non solo stiamo affollando il sottosuolo ma – anche se pare una visione cinica – inquiniamo persino da morti.
A questo problema il mondo del design ha risposto producendo, negli ultimi anni, una gran varietà di proposte, molte delle quali non sono solo green ma anche profondamente poetiche: alcuni progetti sono stati capaci di creare soluzioni di sepoltura alternative e sostenibili, e di conciliare le esigenze ecologiche con i concetti più intimi e trascendenti di memoria, trasformazione e rinascita, puntando sugli unici – ma potenti – spiragli di luce che l’esperienza del lutto porta con sé.
Tra questi c’è Capsula Mundi, un progetto che da quando è stato presentato al Salone del Mobile quasi 20 anni fa, lotta per trasformare letteralmente i cimiteri in foreste. Il duo creativo composto dai designer Anna Citelli e Raoul Bretzel ha realizzato un contenitore biodegradabile a forma di uovo, che viene messo a dimora come un seme nella terra, e sopra di esso viene piantato un albero: «Noi pensiamo che questo passaggio inevitabile, così denso di significati, non sia la fine ma l’inizio del percorso di ricongiunzione alla natura. Partendo da queste considerazioni, abbiamo deciso di ridisegnare la bara (un oggetto pressoché dimenticato dal mondo del design), utilizzando materiali ecologici e riferendoci a dei simboli di vita, laici e universali, quali l’uovo, la posizione fetale e l’albero.» Benché siano già una realtà in molti paesi anglosassoni, in Italia le cosiddette inumazioni verdi non sono legali, perché la legge in vigore – che è sempre la stessa dal 1934 – impone l’obbligo della cassa di legno e vieta la sepoltura nella nuda terra.
Sempre nell’intento di re-immaginare la morte come processo naturale e positivo, i designer Enzo Pascual e Pierre Rivière hanno ideato Émergence, una bio-urna per “rinascere” dopo la morte, sotto forma di albero. «Émergence è stato disegnato con in mente le persone che hanno un forte senso di appartenenza alla natura, consentendo loro di lasciare un albero come loro rappresentazione, chiaramente un tipo di albero che avranno precedentemente scelto. È dunque anche un progetto per le generazioni future che saranno felici di ereditare qualcosa che assomiglia più a una foresta che a un campo santo». Dicono i designer. Il contenitore (biodegradabile) sepolto nella terra è collegato a uno spazio superiore che consente ai visitatori di sedersi e meditare: così il cimitero si trasforma in un “serbatoio di vita”, un luogo di pace e di culto per le famiglie e gli amici dei defunti, un luogo in cui la memoria non solo non andrà mai perduta, ma anzi crescerà anno dopo anno espandendosi insieme alle foglie più alte.
I Wish To Be Rain (Studio PSK), invece, propone un’ascensione simbolica attraverso cui “diventiamo pioggia”: le ceneri vengono disperse in cielo attraverso l’enorme palloncino di elio che le contiene, pensato per salire fino alla troposfera per poi esplodere provocando la pioggia (le ceneri servono da catalizzatore).
A riprova del fatto che stiamo prendendo atto di una mutata (e più speranzosa) visione della morte e dei suoi riti, si è conclusa questo 24 gennaio l’ultima grande mostra sul tema, (Re)Designing Death, proposta e ospitata dall’università TU di Delft, che ha esposto circa 50 oggetti attraverso i quali i designer hanno dato forma in modo molto personale ai concetti di addio, lutto, ricordo e ovviamente di morte; l’esposizione conta anche alcuni progetti che interpretano l’idea della vita eterna. Insomma, sembra che finalmente il design abbia deciso di affrontare un tabù secolare e aiutarci ad affrontarlo nel modo migliore possibile. Anche se non possiamo sconfiggerla, sembra che progettare la morte sia un modo per non averne più paura.
In copertina: Leaves by Shaina Garfield, Capsula Mundi by Citelli & Bretzel