“La mente ama l’ignoto. Ama le immagini il cui significato è ignoto, poiché il significato della mente stessa è ignoto.“
René Magritte
Con queste parole, Magritte giustifica la continua e surreale attrazione dell’essere umano verso l’ignoto.
È forse per questo che la mostra Golden Years/Acta Est Fabula di Studio Job, presentata da Dilmos al Fuorisalone 2024, è riuscita a rimanere impressa nella mente dei visitatori. Job Smeets accompagna il visitatore in un’incessante e inarrestabile marcia verso l’ignoto. A distanza di un secolo da Magritte, Smeets crea opere che si nutrono proprio dell’angoscia generata dalla loro immobile dinamicità. L’artista genera in uno spazio semplice, decorato unicamente dalle sue opere, un momento di grande introspezione personale.
Job Smeets induce i visitatori a spostarsi tra le sue creazioni che fungono realmente da promemoria angoscioso della mortalità e dell’impermanenza degli oggetti materiali.
All’interno della mostra suddivisa in due atti e spazi differenti, l’osservatore diventa un corpo esterno che vaga in una realtà volutamente immobilizzata dall’artista stesso.
Il primo atto, Golden Years, si fa portatore di temi contemporanei e surreali, rivestiti di un’apparenza abbondante e scintillante.
È forse l’aspetto barocco e decadentista a risultare ingannevole in una sala che mostra in numerose opere un nascosto legame primordiale tra l’uomo e la natura.
Le opere presenti nella sala, da Sword a Oyster fino al divano Worn sono un continuo rimando al legame tra la perfezione tanto agognata dall’uomo moderno e l’apparente imperfezione naturale.
Nel secondo atto, Acta Est Fabula, Smeets utilizza le sue stesse opere come esempio della natura transitoria dell’arte. I suoi progetti precedenti vengono ristudiati e riproposti in forma di bara, come a simboleggiare la conclusione inevitabile di ogni opera.
La seconda sala si pone quindi come un continuo rimando all’essenzialità del tempo nella vita dell’uomo. Attraverso opere come The Snipper, l’artista vuole rappresentare l’inevitabile scorrere del tempo. Si cela tra le opere anche un’illusoria speranza rappresentata dalla campana Last Call, suonata nei momenti finali del pericolo per richiamare soccorso.
In uno spazio apparentemente solare e lucente si celano quindi numerosi temi controversi e contemporanei. Questa è l’ennesima prova che il design, come ogni singola arte, si nutre pienamente della realtà e delle angosce che circondano l’artista.
Nella mostra Golden Years/Acta Est Fabula, Job Smeets lascia le sue angosce e le sue inquietudini nelle mani dei visitatori, schermandole con un design apparentemente barocco e ridondante.
Una mostra accessibile a tutti ma percepibile solo da chi possiede l’anima di interpretarne il significato.
Acta Est Fabula, lo spettacolo è finito. Ma è davvero giunto tutto al termine? La mortalità trascinerà tutto con sé? O forse, proprio come a teatro, dietro al sipario ormai chiuso si iniziano ad articolare nuove storie, sempre più reali e con sempre più necessità di essere raccontate dagli artisti.
Un artista ha difatti un compito estremamente complesso da portare a termine: fungere da ponte tra l’appagante estetica e la complessità del mondo moderno. Anche Job Smeets riesce a sottolineare che il design racchiude in sé una grande anima e un enorme significato, e che non si tratta solamente di pura estetica.
È quindi necessario mettere un punto alla distinzione tra forma e vita: la vita non sempre è realtà e la forma non sempre è superficialità. Spesso la forma nasconde al proprio interno una grandissima sostanza, ricca di emozioni e sensibilità. Mi piace pensare quindi che l’arte sia il risultato stretto della vita e delle esperienze umane e per questo anche il design deve essere riconosciuto come tale: prodotto dello spirito dell’artista.