Si può ricondurre il termine “mecha” alla parola giapponese meka (メカ), abbreviazione della traslitterazione katakana proveniente dalla parola latina mechanica, in italiano “meccanica”. Tuttavia, mentre al di fuori del Giappone si tende a far corrispondere al significato di “mecha” solo strumenti robotici che possiedono specifiche caratteristiche di dimensione e controllo, nel paese del Sol Levante il termine “meka” è invece connesso a ogni elemento meccanico ed è usato per riferirsi anche ad auto, armi, elaboratori, veicoli e astronavi di ogni sorta, e parimenti ai cyborg.
Ecco, oggi vi voglio presentare due installazioni meka di Jonghong Park dove dati, parametri, operazioni complesse e processi casuali si materializzano.
Titolo: bit + Do human dreams of machines?
bit rappresenta un processo apparentemente casuale ma che può essere descritto matematicamente da una funzione chiamata Catena di Markov.
L’artista spiega come funzionano i dispositivi meccanici: “Ogni macchina consiste di ‘informazioni’ incise sulla testina di lettura e di un ‘evento’ causato dal funzionamento del motore. Le macchine sono collegate tra loro sulla base di un algoritmo della catena Markov per influenzare gli eventi, e alla fine possiamo prevedere quale delle quattro macchine si muoverà nel prossimo turno”. Il lavoro rappresenta la complessità del mondo, formato da sistemi, strati e reti apparentemente separati ma sottilmente interlacciati.
L’installazione Do human dreams of machines?, invece, ci narra del legame sempre più stretto tra uomo e macchina. Perché siamo giunti a un punto in cui la tecnologia manipola l’uomo che per sua natura manipola ciò che crea. Si tratta di una relazione a doppio senso. Questa relazione viene rappresentata da J. Park con un loop: “L’installazione è composta da otto dispositivi di raffreddamento dotati di un’armonica in miniatura che genera un suono quando viene attivato il dispositivo di raffreddamento. Ogni modulo ha un microfono incorporato, che riconosce la nota specifica di ogni armonica. Quando il microfono riconosce la nota specificata, le dita interrompono il suono premendo il centro del dispositivo di raffreddamento. Se il microfono non sente alcun suono, le dita ritornano alle loro posizioni originali. Il dispositivo di raffreddamento genera costantemente il suono e le dita smettono costantemente di raffreddare”, afferma l’artista.
Insomma, due installazioni meka da non perdersi.