L’arte, forse con la sola eccezione della musica, è concepita e creata per essere usufruita principalmente tramite la vista. Non è questo il caso delle sculture e installazioni di Giuseppe Penone, uno dei principali esponenti dell’arte povera, e che della pelle e del senso del tatto ha fatto una della sue più grandi tematiche.

Giuseppe Penone, Alpi Marittime – Continuerà a crescere tranne in quel punto, 1968, bronzo e albero

Nel fare scultura infatti è quasi scontato, soprattutto pensando alla scultura classica, quanto il contatto ed il tatto stesso siano fondamentali nella creazione di un’opera. Da uno spunto simile nasce Alpi Marittime – Continuerà a crescere tranne in quel punto, opera famosissima dell’artista che sintetizza così una più complessa riflessione: se l’atto di toccare è fondamentale alla creazione e se anche un minimo segno o traccia lasciata da questo contatto può essere arte, cosa accadrebbe se la stretta di una mano fosse esercitata senza fine sulla materia fluida e cangiante di un albero in crescita? La mano in metallo, calco della mano dell’autore stesso, stringendo l’albero provoca proprio ciò che il nome suggerisce, con l’albero che cresce adattandosi alla presa. È bizzarro e romantico poi come il tocco di questa mano, un po’ simbolo del contatto umano con la natura, venga negli anni inglobato dall’albero stesso, quasi ad evidenziare in realtà un’appartenenza dell’uomo alla natura, in un’identità non così definita ed indipendente come appare.

Giuseppe Penone, Essere Fiume (I), 1981, pietra naturale e pietra scolpita

Se l’uomo dunque è parte della natura stessa ed il suo tocco lo porta a lasciare segni che possono essere considerati arte, stesso discorso si può applicare a quegli elementi, a quelle creature ed a quelle materie che nel contatto con altre dell’ambiente circostante vanno a lasciare un qualche segno. Essere fiume, serie di opere con lo stesso nome ed approccio, ci mostra questo tramite due pietre, una scolpita nel tempo dallo scorrere dell’acqua di un fiume, e l’altra una sua copia identica, creata da Penone. Impossibile distinguere visivamente quale sia la pietra e quale sia la scultura, dunque entrambe meritevoli di essere chiamate sculture, mentre Penone si è fatto così fiume ed il fiume a sua volta artista.

Giuseppe Penone, Faggio di Otterlo, 1987, bronzo

La vista, senso per noi fondamentale, spesso dunque ci inganna, e non basta da sola a comprendere il mondo. Basta vedere un’altra delle sue opere, il Faggio di Otterlo, che collocato vicino ad altri alberi risulta quasi indistinguibile, visti i mutamenti naturali della colorazione del bronzo, finché non lo si tocca percependo il freddo del metallo e non il calore del legno che invece ci saremmo aspettati.

Giuseppe Penone, Spine d’acacia – contatto, 2005, tela, seta e spine d’acacia

La pelle, nostro tramite più vero di interazione con la realtà, si fa in Penone opera a sua volta, spesso in un paragone tra noi, il segno che la nostra epidermide lascia, e la corteccia degli alberi o le venature delle pietre. Nella serie Spine d’acacia, una delle esplorazioni più imponenti dell’idea di pelle, vengono riprodotti dettagli come le labbra o le palpebre, sensibili e sensuali parti dell’organo più esteso, ma rese qui su supporti di seta usando le spine d’acacia, di certo non qualcosa che normalmente le verrebbe accostata ma che anzi risultano per la pelle minacciose e pericolose, pur essendo accomunate dalla funzione di difesa dell’organismo.

Giuseppe Penone, Soffio di foglie, 1979-2015

Qualunque forma di interazione con l’ambiente può essere dunque arte, e come tale ha presenza e potenziale scultoreo anche il respiro. Elemento apparentemente troppo leggero, in Soffio di foglie se ne percepisce invece chiaramente il peso, grazie ad un calco di esso che Penone ha ricavato sdraiandosi e soffiando su un cumolo di leggerissime foglie di bosso, riuscendo a rendere così anche l’atto di soffiare un atto di scultura.

Giuseppe Penone, Respirare l’ombra, 1999

Ma se il soffio, quindi l’espellere materia dal nostro corpo è scultura, questo si applica anche all’aria che penetra il nostro corpo con il respiro. Nell’installazione Respirare l’ombra, organizzata nel 1999 al museo di arte contemporanea di Rivoli, nella regione che a Penone ha dato i natali, vengono inserite in una stanza vuota gabbie in metallo lungo le pareti contenenti foglie d’alloro. In questa maniera il visitatore si trova portato a prestare attenzione al proprio respiro grazie all’intenso odore delle foglie, mentre con la propria pelle può sperimentare la differente temperatura o umidità e toccare le foglie stesse, osservando intanto la scultura in bronzo raffigurante dei polmoni fatti di foglie, che esplicita un po’ il significato di questo lavoro. Tatto, olfatto e vista convergono così a rendere lo spettatore parte del lavoro stesso, almeno per i brevi istanti di permanenza, rendendolo scultura viva non diversamente dai famosi alberi dell’artista, e riportandolo alla natura e a somigliare ad essi come novella Dafne.