Nel 1988 a Tirana venne inaugurata la Piramida, museo e monumento celebrativo del leader storico dell’Albania comunista Enver Hoxha, morto nel 1985. Di lì a pochi anni il regime crollerà definitivamente, segnando un’importante svolta nella storia del ‘900 albanese. L’evento segnò anche le sorti di questo edificio, il più costoso realizzato in Albania fino a quel momento: una costruzione a metà strada tra un’astronave e un tempio maya di calcestruzzo, perfettamente in linea con l’estetica costruttivista sovietica. Quello che vediamo oggi è il frutto di un progetto di riuso firmato MVRDV che, in modo particolare, offre spunti di riflessione sul tempo e sul valore che gli edifici possono avere per la civiltà, intesa come la manifestazione dell’essenza di un gruppo più o meno esteso di esseri umani sotto il punto di vista tanto materiale quanto spirituale.

Certo, che cosa sia quella cosa che ci ostiniamo a chiamare tempo è un interrogativo a cui in molti hanno provato a dare una risposta. Se la scienza è concorde che esso non sia un’entità lineare e indipendente dallo spazio, è comunque molto difficile immaginare un’alternativa a questa idea, per lo meno nella realtà che siamo abituati a percepire (leggete L’ordine del tempo del fisico Carlo Rovelli se non l’avete fatto).
Sant’Agostino si poneva, ad esempio, questo problema: se il passato è passato allora non c’è; se il futuro deve ancora arrivare ancora non esiste. Il tempo sarebbe allora solo nella visione del presente, mentre passato e futuro, inesistenti, sarebbero memoria (presente del passato) e attesa (presente del futuro). E se esistono una memoria e un’attesa in ogni individuo, dovremmo pensare che esistono anche una memoria e un’attesa collettiva, di cui gli edifici sono immense testimonianze, libri di pietra, come diceva Victor Hugo. Lo scrittore francese più volte aveva dichiarato “guerra ai demolitori” (così si intitolava un suo articolo del 1831), quelli che stavano distruggendo la Parigi gotica, rimbiancando o demolendo, ancor prima che arrivasse Haussmann a picconare i quartieri medievali per far spazio ai “moderni” boulevard. Nella primissima pagina del suo Notre-Dame de Paris, Hugo scriveva addirittura di aver creato la sua opera attorno a una parola (“c’est sur ce mot qu’on a fait ce livre”) incisa sul muro della cattedrale e, ormai, non più visibile: ‘ΑΝΑΓΚΗ (la parola greca ananke, significante necessità, destino). Notre-Dame non ha come protagonisti degli esseri umani, ma la più iconica chiesa parigina, e Hugo sarà ritenuto da molti colui che gettò il seme del moderno restauro conservativo.

Ma torniamo a Tirana e al brutalismo, evitando di assecondare le crisi di identità che mi hanno attanagliato nell’ultimo mese facendomi pensare più del dovuto al tempo che scorre (sebbene la scienza mi dica che non è vero che il tempo “scorre”), alla memoria e all’attesa di Sant’Agostino.
Crollato il regime comunista in Albania, tra il ’90 e il ’92, la Piramida è stata utilizzata nei modi più vari, grazie alla sua tipologia architettonica (sostanzialmente una grande aula a pianta centrale): come nightclub, come base NATO durante la guerra del Kosovo, come stazione radio dal 2001. Alle alterazioni subite dall’edificio, conseguenze dei cambi di funzione, si sono affiancate nel tempo quelle legate ai passatempi della gioventù albanese. La Piramide è stata utilizzata sia come tela dai graffitari, sia come scivolo dai bambini, con improvvisati slittini di plastica o lamiera. Cosa si sarebbe dovuto fare di questo edificio abbandonato in uno stato di totale degrado fu oggetto di lunghe diatribe. Farlo diventare un teatro? Demolirlo per far spazio alla nuova sede del parlamento? Per anni la questione si è trascinata avanti, con battaglie tra demolitori e conservatori, in mezzo ai quali, con ogni probabilità, figurava anche qualche nostalgico del regime (secondo un sondaggio OCSE del 2016, il 42% degli intervistati avrebbe valutato positivamente il governo di Hoxha).

Si optò per la conservazione e venne deciso, nel 2018, che la Piramida sarebbe diventata un centro destinato a ospitare la sede del TUMO, un programma educativo speciale gratuito, rivolto ai ragazzi tra i 12 e i 18 anni, per lo studio di nuove tecnologie legate alla robotica e alla programmazione in genere. Lo spirito della rifunzionalizzazione, stando alle parole del sindaco di tirana Erion Veliaj, sarebbe stato quello di creare un futuro occupazionale certo, nell’ambito delle nuove tecnologie, per le giovani generazioni albanesi e balcaniche, formando addirittura seimila ragazzi al mese. Spazi per start-up, uffici, bar e ristoranti completano il programma funzionale.
La progettazione venne affidata agli architetti olandesi di MVRDV che nel loro progetto hanno mantenuto quanto più possibile della struttura in calcestruzzo armato della piramide, aggiungendo una serie di “scatole” colorate sparse qua e là tra l’interno e l’esterno dell’edificio esistente e destinate a ospitare le nuove funzioni. L’atmosfera risultante è quasi quella di un festival, pieno di stand in giro, o quello di un’area occupata abusivamente da squatter in disordinate casette colorate. Lo stacco cromatico tra la preesistenza e i volumi aggiunti permette di riconoscere chiaramente la memoria e l’attesa, un aspetto cardine di tutta la teoria del restauro conservativo, cioè di quel restauro che vuol preservare le espressioni umane stratificate sul “libro di pietra”, integrandole, senza finti storicismi, affinché questo possa continuare la sua narrazione nel presente. Pertanto, MVRDV decide di aggiungere una serie di rampe di che salgono lungo i costoloni dell’edificio meno che su uno, permettendo ancora, a qualche bambino coraggioso, di scivolare fino alla base. Perfino l’uso abusivo dell’edificio è stato quindi preservato e addirittura utilizzato come spunto progettuale, dal momento che la “scalata” verso la cima è un tema centrale del progetto. Coerentemente con le prassi contemporanee, sono stati introdotti elementi di sicurezza costituiti non solo dai parapetti, ma anche da un sistema di protezione anticaduta in corrispondenza delle vetrate, qualora qualcuno, come era abitudine in passato, voglia scivolare perfino sulle vetrate.


Anche le tracce dei vari riusi sono state mantenute il più possibile, testimoni alcune pareti che furono aggiunte per le stazioni radio, originariamente rivestite in marmo (poi saccheggiato quasi del tutto). Sono state mantenute le crepe, le fessure, le ammaccature, che conferiscono ancor più fascino all’edificio. Tra l’altro, da un punto di vista strutturale, questo è stato talmente sovradimensionato che non si è resa necessaria nessuna opera di sostegno ai nuovi corpi architettonici, né integrazione alle fondazioni.


Le zone destinate strettamente agli studenti, acusticamente isolate, sono accessibili tramite tornelli. Questo permette ai giovani di poter essere separati dal resto degli utenti, un aspetto funzionalmente necessario, ma visivamente sempre in contatto con essi, sopra, sotto e di lato, attraverso le superfici trasparenti. Giunti in cima si può godere della vista su Tirana e anche di quella verso l’interno della Piramida, grazie a un oculo di vetro sollevato. La continuità tra funzioni, seppur solo visiva, e tra interno ed esterno dell’edificio è stata fortemente voluta da MVRDV, e conferisce ancor più vivacità al sito e al monumento che invece nacque come un monolite statico in uno spazio pubblico poco utilizzato e in un tempo sempre uguale (Hoxha governò per quarantaquattro anni). La maggior parte del programma funzionale è stata collocata all’esterno della Piramide, in modo tale da lasciare arioso l’interno dell’ex mausoleo, e posizionata principalmente alle sue spalle, in modo da creare una zona di parco più aperta sul fronte.


Il progetto di MVRDV è un esempio brillante di ripristino architettonico in quanto riesce a considerare l’organismo edilizio come una serie di stratificazioni temporali in modo particolarmente virtuoso. Esso non è considerato immutabile, né tantomeno ritenuto prioritario e di maggior valore il suo stato originario, né quello di un particolare momento della sua esistenza. Lo studio olandese si limita, con la sua consapevolezza e competenza, ad eseguire un intervento perfettamente in linea con la definizione di restauro di Cesare Brandi: “il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità estetico-storica, in vista della sua trasmissione al futuro”.
Cover photo credts: © Ossip van Duivenbode