Già nell’articolo sul SESC progettato da Lina Bo Bardi ho accennato al periodo universitario passato a studiare edifici centro-sudamericani. In questi giorni di maggio che sembra novembre, parlare di brutalismo mi riporta ancora malinconicamente a quegli anni e a un architetto che mi ha entusiasmato moltissimo, che del calcestruzzo armato ha esplorato come pochi altri le possibilità costruttive e soprattutto espressive.
Centenario, comunista, amante delle donne e del sesso, avverso all’aereo come mezzo di trasporto, Oscar Niemeyer non poteva non essere il mio idolo architettonico.

Mi sembrava essere uno di quelli con la vita che sembra venuta fuori da un romanzo di Dumas. Dopo una gioventù almeno all’apparenza spensierata (termina le scuole superiori a 21 anni), Niemeyer si sposò e iniziò a lavorare alla tipografia del padre e a studiare alla scuola di belle arti, dove si laureò ingegnere e architetto nel 1934. Lavorò per un periodo nello studio di quello che sarà il suo maestro, Lucio Costa, e che lo portò a lavorare anche con Le Corbusier, consulente del governo brasiliano.

Già abbastanza conosciuto come architetto, nel 1940 Niemeyer incontrò Juscelino Kubitschek, allora sindaco di Belo Horizonte, che gli affidò l’incarico di sviluppare una serie di edifici nel quartiere Pampulha. Tra questi, Niemeyer progettò la chiesa di San Francesco d’Assisi ispirandosi, come disse lui stesso, alla definizione di Paul Claudel per cui “una chiesa è hangar di Dio sulla terra” e immaginandola proprio come un’aviorimessa dei primi del Novecento. Una copertura dalla sezione pseudoparabolica che sovrasta un’ampia aula dalle enormi facciate vetrate: una sorta di manifesto della poetica dell’architetto brasiliano che, privilegiando le possibilità scultoree del calcestruzzo e la trasparente onestà del vetro, userà sempre forme sinuose nei suoi progetti.

“Non è l’angolo retto ciò che mi affascina. Non la linea retta. Dura, inflessibile, creata dall’uomo. Ciò che mi affascina è la curva libera e sensuale. La curva che trovo nelle montagne del mio Paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle nuvole del cielo, nel corpo della donna. Di curva è fatto tutto l’Universo.”

L’esperienza con Kubitschek si rivelò fondamentale per il futuro di Niemeyer quando l’ex sindaco di Belo Horizonte venne eletto presidente del Brasile e volle costruirne la nuova capitale. Secondo un articolo della costituzione del 1891, infatti, questa non doveva più essere Rio de Janeiro, geograficamente troppo decentrata. Il progetto di Brasilia, una vera e propria città di fondazione ispirata ai principi urbanistici di Le Corbusier, venne affidato a Lucio Costa, mentre Oscar Niemeyer si occupò della progettazione della maggior parte degli edifici pubblici. Tra questi rientrano alcuni tra i suoi progetti più famosi, come la Cattedrale, costruita con enormi strutture iperboloidi in calcestruzzo armato, o Palácio Itamaraty, con i suoi archi in calcestruzzo a vista, sede del ministero degli affari esteri.

I problemi per l’architetto iniziarono dopo il colpo di stato del 1961, quando il Brasile divenne di fatto una dittatura fino al 1985. Il suo lavoro fu ostacolato, il suo studio vandalizzato e perse il lavoro all’Università di Brasilia. Niemeyer fu pertanto costretto a trasferirsi, spostandosi a Parigi, dove venne contattato da futuri clienti di diversi paesi del mondo, tra cui anche l’Italia, dove progettò la sede delle cartiere Burgo e della FATA nel torinese e la sede della Mondadori di Segrate. In quest’ultimo edificio, Niemeyer riprese gli stilemi di Brasilia su esplicita richiesta del committente, Giorgio Mondadori, realizzando una scatola di vetro appesa a un’elegantissima struttura a portali in calcestruzzo armato a vista dal ritmo variabile.

Finita la dittatura, Niemeyer torna in Brasile dove lavora instancabilmente nonostante l’età. A 89 anni progetta il Museo di arte contemporanea a Niterói, uno dei suoi progetti più emblematici data anche la suggestiva posizione a picco sul mare, nel quale la rampa di accesso e la forma circolare dell’edificio sono ancora una volta sinuosi tratti distintivi dell’architetto brasiliano.

A 100 anni Niemeyer era ancora coinvolto in vari progetti, principalmente risistemazioni di alcuni suoi lavori, e rilasciava ancora interviste parlando lucidamente del suo passato, del suo presente e, a qualche testata italiana, anche della sua avversione per la burocrazia del nostro paese che gli aveva fatto perdere troppe energie; o, più semplicemente, del suo nuovo hobby da centenario, la pittura, nonostante l’anziana mano tremula.

Niemeyer si spense nel 2012, ero al secondo anno di università e non lo dimenticherò mai, perché fu oggetto di un aneddoto che ancora ogni tanto salta fuori nei momenti amarcord. Il mio collega Flavio, livornese, pochi giorni prima della sua morte, ne aveva casualmente commentato l’età, usando una qualche colorata espressione delle sue parti, tipo “Deh, boia, deh!”. Ciò valse a Flavio l’attribuzione di grandissimi poteri iettatori e a Niemeyer la cristallizzazione del suo ricordo nelle mie più felici memorie post-adolescenziali, quando provavo a ridisegnare le curve delle passerelle dell’OCA di San Paolo, suo capolavoro al Parque Ibirapuera di San Paolo.

© Nelson Kon