Per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos’altro che abbia il medesimo valore. In alchimia è chiamato “il principio dello scambio equivalente”.
Fullmetal Alchemist viene scritto dall’acclamata mangaka Hiromu Arakawa e pubblicato dal 2001 al 2010. Nonostante sia passata oltre una decade dalla sua conclusione, l’opera è ancora oggi indicata tra le serie anime di tutti i tempi e tra i manga raccomandati ai nuovi lettori del genere nipponico.

Nel corso della storia vi è un’incredibile schiera di personaggi principali, secondari e comprimari, che si polarizzano attorno ai due protagonisti, i fratelli Elric, come alleati o avversari.
Possono essere positivi, ma avere lati oscuri e momenti di dubbio. Possono essere negativi, mostrando però scorci di redenzione dalle debolezze che diminuiscono la loro caratura.
In una parola sono umani, e non può essere altrimenti in un manga che mette in discussione il concetto di umanità.
L’alchimia è una sorta di percorso verso la conoscenza assoluta, acquisita attraverso la dedizione e il sacrificio, che tuttavia può cambiare il modo di vedere l’alchimia stessa e il mondo che ci circonda. Ecco perché il concetto di “scambio equivalente” è così importante. La creazione di qualcosa attraverso l’alchimia è bilanciata dal trasferimento di qualcosa di uguale valore, in contrasto con la scorciatoia offerta dalla leggendaria Pietra Filosofale di trascendere questo principio.
Uno dei maggiori punti di forza di Hiromu Arakawa è la sua capacità di costruire abilmente un mondo narrativo credibile, coerente e ramificato.
Geograficamente, questo mondo ricorda Dragon Ball per la sua forte presenza di grandi deserti, foreste, pianure e piccoli villaggi dando così importanza al tema del viaggio, in contrapposizione alle grandi città come Central City, capitale di Amestris. Ed è proprio in questa città che inizia e finisce la nostra piccola digressione architettonica.
Come suggerisce il nome, Central City è il centro del potere militare e governativo di Amestris. Il piano urbanistico della capitale ha pianta radiale e ricorda le città fortezza edificate in Italia nel XVI secolo. Gli edifici, invece, sono semplici e organizzati, tipici del XIX secolo inglese.
L’architettura di Central City, dunque, risulta essere una combinazione di diversi paesi europei di vari periodi tra il XVI e il XIX secolo e, più specificamente, i cambiamenti avvenuti nell’Europa occidentale durante il periodo della Rivoluzione Industriale (con maggiore ispirazione all’Inghilterra).
Alcune di queste ispirazioni a paesi reali sono evidenti, come l’architettura delle principali città allo stile vittoriano inglese, così come la maggior parte degli abiti che somigliano alla moda dell’Europa occidentale dell’inizio del XX secolo, gli abiti militari hanno una stretta somiglianza con quelli utilizzati, tra gli altri, dalle forze militari francesi durante la Prima guerra mondiale.



La struttura e lo skyline della città sono razionali, metodici, scientifici, calcolati e studiati.
In un mondo dove la materia viene plasmata arbitrariamente e le regole della natura sono messe in discussione a tal punto da portare agli estremi il concetto di umanità, la metropoli ci ricorda quali sono i vincoli della pericolosa arte chiamata Alchimia.
L’architettura si rivolge in modo del tutto consapevole alla ragione dello spettatore. Vuole comunicare sapere e conoscenza. Gli edifici tra loro così similari sono separati da larghi viali ma uniti da collegamenti strutturali andando a creare una fitta rete urbana. L’architettura ricorda costantemente agli alchimisti che le infinite trasmutazioni applicabili alla materia rimangono sempre vincolate da una regola immutabile: è necessario dare in cambio qualcos’altro.
Ebbene, sperando che la lettura sia stata di vostro gradimento, ecco la mia offerta: dopo un mondo vincolato da regole e colmo di caos, vi propongo un viaggio nel fantastico universo di Hayao Miyazaki col suo ultimo capolavoro “Il ragazzo e l’airone”.
Che dite? Dove? Sempre e solo su DesignTellers!
Photo credits © Fullmetal Alchemist manga panel by Hiromu Arakawa