Nel lavoro dell’architetto uno dei pilastri più importanti della professione è quello di costruirsi un’identità: riuscire a trovare, nel marasma di immagini che – veloci – scorrono davanti ai nostri schermi, ai nostri smarthphone e alla nostra vita reale, un elemento-emblema unico che ci contraddistingua e che permetta di riconoscerci e farci riconoscere tra la massa.
Questo pensiero non si limita al solo lavoro dell’architetto, ma a tutte quelle professioni in cui la creatività è croce e delizia quotidiana. Perché se da una parte è necessario che ti ritagli un piccolo posto nel mondo che sia solo tuo, dall’altro (se lo trovi) devi comunque continuare a reinventarti per non cadere nella mono-tematicità. Rincorriamo quindi sempre la novità ma entro i limiti di ciò che abbiamo deciso di cucirci addosso, che nella maggior parte delle volte è ciò che piace agli altri. Architettura e cinema sono due connubi che ho sempre pensato fossero imprescindibili l’uno per l’altro. Quando è stato annunciato che il 28 settembre 2023 sarebbe uscito nelle sale italiane “Asteroid City”, il nuovo film di Wes Anderson, non ho esitato ad avere come primo pensiero (dopo quello di aver deciso di andare al cinema a vederlo) la stesura di un articolo su uno dei più grandi registi eclettici che conosca.

Wes Anderson, ritornando al preambolo iniziale, è proprio uno di quei personaggi (oltre che regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense) che non solo è riuscito a crearsi il suo posto nel mondo con un’identità forte e unica, ma è diventato un vero e proprio “aggettivo”. Penso che vi sarà capitato di dire o sentir dire che un ambiente, un’architettura o un interno fosse wesandersoniano, riferito perlopiù ad atmosfere bizzarre, dai colori pastello e dallo stile fantasioso, quasi onirico, riconoscibile e contraddistinto da toni vivaci e spazi iper-arredati. Nel suo film “Rushmore” il protagonista stesso ad un certo punto evidenzia: “secondo me devi trovare qualcosa che ami fare e poi devi farlo per il resto della tua vita”. Non a caso questo è il primo film (dopo una serie di altro genere) che rappresenta il vero trampolino di lancio del regista. Con la pellicola “I Tenenbaum” Wes Anderson comincia effettivamente a dare profondità e dettaglio ai suoi spazi, che si vanno a concretizzare sempre più anche attraverso film come “The Darjeeling Limited” in cui tutto il contesto, intriso di atmosfere indiane, viene rivisitato a suo modo, diventando il pretesto che fa muovere i personaggi: sappiamo dove siamo e cosa stanno facendo i protagonisti attraverso un accurato disegno di ciò che li contiene, come la carrozza del treno o le ambientazioni di culto.

La particolarità appunto sta nell’immaginario che il regista ha creato tanto nell’ambito cinematografico quanto in quello reale dell’architettura, dell’interior, del decor.
Non stiamo dunque solo parlando di un uso magistrale della camera, di un’eredità sulla simmetria e sulla prospettiva centrale consegnata dal grande Stanley Kubrik (forse siamo anche un po’ troppo bene abituati a quelle immagini). Oltre tutto ciò, qui stiamo anche analizzando la maniacale padronanza dei dettagli nella realizzazione di mondi ideali e realtà immaginarie che chiunque ami i film di Wes Anderson vorrebbe vivere. Un’attenzione che supera i canoni tecnici cinematografici e sfocia in toto nel campo dell’architettura vera e pura. Nel film “Le avventure acquatiche di Steve Zissou”, il regista ci fa conoscere la nave di Steve attraverso una vera a propria sezione prospettica. Una modalità inconsueta ma spettacolare nel suo genere; mostra tutto ciò che si può analizzare sezionando veramente una nave: dal sistema costruttivo alla suddivisione delle stanze con tanto di spessore dei tramezzi, delle scale e degli arredi.
Questa visione d’insieme aiuta lo spettatore ad avere prontezza delle dimensioni, degli ambienti, delle connessioni, del loro funzionamento; lo fa entrare dentro il film, che lo voglia o meno.




In “Grand Budapest Hotel” raggiunge il picco della sua sensibilità da esteta, a partire dall’imponente facciata color pastello, in cui ogni dettaglio architettonico diventa parte fondamentale della costruzione del set. Entrare nel Grand Budapest Hotel è per lo spettatore entrare dentro quella che il protagonista definisce un’“affascinante vecchia rovina”.
Qui Wes Anderson – come un vero artigiano – lavora di scenografie vere e fittizie, ricostruisce, tappezza e arreda dando vita prima ai suoi luoghi, poi ai suoi personaggi. Nei film di Wes Anderson architettura e spazio diventano i veri protagonisti. Le sue storie infatti sono sempre raccontate tramite i luoghi. I suoi personaggi nascono proprio da quei luoghi, si adattano a quei luoghi, ci crescono dentro e lì si spengono alla fine del film. I luoghi wesandersoniani invece no, li abbiamo scolpiti in testa, li vediamo attorno a noi ogni volta che un dettaglio ci rievoca quell’immagine, ogni volta che un colore pop ci riporta lì, in quell’esatto momento in cui pensavamo di guardare un suo film e invece c’eravamo dentro, stavamo vivendo la sua realtà. Ma sapevate che Wes Anderson ha veramente realizzato qualcosa come “architetto”? Ebbene la sua prima architettura si trova proprio a Milano: nel 2015 infatti il regista progetta e arreda il Bar Luce, in Fondazione Prada con evidenti riferimenti ad una identità ormai rodata al cinema e per la prima volta messa in atto nel nostro mondo. Inoltre in questi giorni è possibile visitare proprio all’interno della Fondazione Prada una mostra – in concomitanza con l’uscita della sua ultima pellicola Asteroid City – dedicata all’universo creativo del regista con illustrazioni e sceneggiature immersive, oggetti di scena, arredi e mobili dallo stile americano anni ’50. La mostra rimarrà aperta fino al 7 Gennaio 2024.

Attenzione! Wes Anderson non si è solo voluto limitare all’architettura, alla progettazione minuziosa di tutti i dettagli delle sue ambientazioni, che da sole riescono a far nascere i suoi bizzarri personaggi: nel 2018 ha ampliato le sue pretese costruendo al cinema addirittura un’isola: “L’isola dei cani” – un film d’animazione – in stop motion super consigliato. Una delle pellicole che ha suscitato più reazioni tra i suoi fan è “The French Dispatch” dove il regista ha realizzato la sua prima città, Ennui-Sur-Blasé, un vero e proprio micro-mondo, richiamo agli anni ’70 con toni in stile francese; un progetto di world building a tutti gli effetti.

Qui l‘importanza dello spazio, la capillare attenzione ai luoghi, la viscerale necessità di scenografie nuove, reali e parallele al mondo moderno è dichiarata e messa a nudo, i personaggi sono solo il riempimento di tutto ciò che gli sta attorno. Nei libri che leggo e nei film che guardo mi capita spesso di affezionarmi ai personaggi, nei film di Wes Anderson mi innamoro invece dei paesaggi, delle sue città, del suo decor. Mi è capitato anche con l’ultima pellicola “Asteroid City”, di sentirmi catapultata in un mondo fantascientifico in technicolor, una semi-città nel deserto da cui, alla fine del film, non riuscivo a staccare gli occhi di dosso. Ha creato un mondo tutto suo, tutto nuovo, in grado di guardarlo non con occhi fantasiosi ma reali: Wes Anderson ci da la possibilità di sognare un mondo che realmente può esistere, un mondo che evidentemente, forse, esiste già.
Lo dimostra la pagina che sta spopolando su Instagram (vi consiglio anche di acquistare l’omonimo libro di Wally Koval, con prefazione dello stesso Wes Anderson); si chiama “Accidentally Wes Anderson” e racchiude una raccolta di architetture, scorci, atmosfere, colori, oggetti o anche solo episodi della vita quotidiana che sembrano usciti da un suo film.

“Alimentato da una visione per un design distintivo, una fotografia straordinaria e narrazioni inaspettate, “Accidentally Wes Anderson” è un passaporto per l’ispirazione e le avventure. Perfetto per i viaggiatori moderni e gli appassionati dell’estetica distintiva di Wes Anderson, questo è un invito a guardare il mondo attraverso una lente diversa”.


Il lavoro di Wes Anderson va quindi oltre quello di regista, sceneggiatore e produttore cinematografico; tant’è che durante un’intervista afferma: “se non avessi fatto il regista, avrei fatto l’architetto”. Io credo proprio che Wes Anderson sia riuscito alla fine a diventare anche un architetto, anzi penso (con le migliaia di persone che condividono) che sia per eccellenza l’architetto del cinema (e forse anche di mondi).
Web Site: https://www.instagram.com/accidentallywesanderson/