In occasione della Milano Design Week la città si trasforma in un hub di creatività, stile e innovazione che ha pochi eguali al mondo. Tra le molteplici sfumature e categorie di design che confluiscono nella settimana del Fuorisalone, l’area espositiva BraIN TAIWAN ha attratto la mia attenzione per la sua trasversalità e originalità. Situata tra il Portico Richini e il Portico San Nazaro dell’ Università Statale di Milano, le otto aree progettuali dell’installazione sono frutto del lavoro di tre curatori artistici e quattro personalità artistiche con diverse specializzazioni – una visual designer, un musicista e designer e due architetti – e accompagnano il pubblico in un viaggio attraverso le innovazioni tecnologiche in ambito tessile concepite in Taiwan alla scoperta di uno dei paesi più all’avanguardia nel settore a livello mondiale.

Ho avuto il piacere di parlarne direttamente con Elena Gemelli, curatrice e co-ideatrice del progetto assieme agli altri sei membri del collettivo artistico italo-taiwanese The Meet Lab, che ha ricevuto l’incarico di questo progetto dal Governo della Città di Tainan e dal Dipartimento per lo Sviluppo Industriale del Ministero degli Affari Economici di Taiwan. “BraIN Taiwan – racconta Elena – nasce da due esigenze: raccontare la cultura e la socialità di Taiwan attraverso l’opera di designer occidentali e presentare le innovazioni legate alla filosofia produttiva tessile taiwanese attraverso uno spazio espositivo di design e arte contemporanea.”

Dal filo di grafene ai tessuti con scarti di pesce

Pochi sanno che in Taiwan si producono il 70% dei tessuti innovativi e funzionali del mercato internazionale. E forse ancora meno persone sono consapevoli del fatto che la filosofia produttiva delle sue aziende tessili è estremamente attenta al suo impatto ambientale. Dalle piccole imprese familiari ai grandi gruppi industriali, le imprese industriali e tecnologiche del paese hanno sviluppato un centro di ricerca molto all’avanguardia per il tessile, sia per rinforzare la qualità dei loro prodotti sul mercato sia per tutelare l’ambiente dal processo di produzione e smaltimento industriale. “Oltre ai materiali – continua Elena – queste realtà industriali contano su un sistema di filtraggio e purificazione dell’acqua all’avanguardia, allargando sempre più l’oasi ecologica rappresentata dalle loro fabbriche.” In questo modo, ricerca e sviluppo creano non solo innovazione, ma anche ricchezza e benefici per la salute del paese.

La mostra presenta dunque le capacità progettuali e di innovazione della manifattura tessile taiwanese. A partire dai tessuti firmati Eysan, da quelli idratanti che nutrono la pelle perché trattati con scarti di lavorazione del pesce, e dunque ricchi di collagene, a quelli anti-odore, anti-batterici, delicati grazie a uno speciale trattamento con scarti di mandorle e cannella. E poi i tessuti polivalenti in grafene di Everest Textile, che possono accumulare o rilasciare calore in base a come viene trattato il filo di grafene dei capi. Non ultima, la membrana traspirante di BenQ Materials – 100 volte più traspirante del goretex – che si può applicare al cotone, alla lana, a molti altri tessuti.

Da MADE IN TAIWAN a braIN TAIWAN

“La seconda esigenza è raccontare Taiwan cambiando l’immaginario collettivo collegato a Taiwan, che in molti, me compresa, ricordano come semplice marchio di provenienza di giocattoli e prodotti di plastica a basso costo.” Dopo aver trascorso un intero mese in Taiwan, i curatori dell’installazione hanno rielaborato le loro impressioni ed esperienze a contatto con la cultura locale attraverso design e arte contemporanea: “Ad esempio l’opera che ho curato personalmente, Make a wish, ispirata alla tradizione orientale del ‘muro dei desideri’, ovvero un rituale in cui si appendono cartoncini con sopra scritti desideri o voti personali nella speranza che si avverino.”

Ciò che mi ha colpito è anche il grande senso di partecipazione che coglie lo spettatore nel visitare BraIN Taiwan. L’esperienza tattile è fondamentale per la completezza della visita, che invita a scoprire nuove tecnologie e culture toccando con mano le didascalie delle opere – da tirar giù poiché legati in alto con degli elastici – e scostando fisicamente i veli di separazione tra le sezioni della mostra. Insomma, una vera e propria ‘chiamata all’azione’. Chiosa Elena: “Al quarto giorno di Fuorisalone avevamo terminato i circa cinquemila biglietti, e i visitatori hanno cominciato ad attaccarli sulla cancellata d’entrata anziché sulla parete designata, come a voler continuare a partecipare oltre ogni limite.”