Vi siete mai fermati ad osservare un Autogrill? Vi siete mai chiesti quale fosse l’origine di questi onnipresenti monumenti autostradali? Probabilmente no. E in realtà nemmeno io. Tranne quando, mentre sorseggiavo una Coca-cola davanti all’Autogrill di Fiorenzuola d’Arda, mi sono soffermata sul via vai di passeggeri che entravano e uscivano da questo grande edificio, un po’ misero e un po’ monumentale.
Mi sono chiesta come sarebbe finito questo Autogrill tra cento, duecento anni? Me lo sono immaginato pieno di rovi e inglobato nel verde, un po’ come i templi che si vedevano nei film di Indiana Jones. Insomma, improvvisamente mi sono sembrati incredibilmente affascinanti. E infatti lo sono … ecco perché.
Innanzitutto, il primo Autogrill della storia non era un vero e proprio Autogrill: era un chiosco che vendeva biscotti e prodotti preconfezionati dall’aspetto davvero pazzesco. L’idea fu di Mario Pavesi, proprietario della famosa casa produttrice di biscotti e biscottini, che aveva avuto una grande intuizione: offrire agli automobilisti che transitavano sulla Milano-Torino un’alternativa agli spuntini preparati in casa in occasione dei viaggi. Mario Pavesi era un visionario e contattò l’architetto Angelo Bianchetti, che fino a quel momento aveva lavorato principalmente ad allestimenti fieristici e pubblicitari. Era il 1947 e a Veveri, nei pressi di Novara, sorgeva il piccolo punto ristoro che Bianchetti dotò di un gigantesco arco pubblicitario, una struttura architettonica senza alcuno scopo strutturale, ma visibile anche da molto lontano, che faceva somigliare il tutto ad una buffa mongolfiera. Dopo il primo ne nacquero altri, tra cui il celebre Autogrill Villoresi del 1956: con una struttura che sembrava uscita da un film di fantascienza, arrivò a guadagnarsi persino la copertina del magazine Life. Mangiare in autostrada era diventato un rito.
E gli Autogrill erano i templi dedicati a questo rito. E come tali, acquisirono ben presto una propria tipologia architettonica: la caratteristica struttura “a ponte”, nata nel 1959 proprio con l’Autogrill di Fiorenzuola d’Arda e perfezionata fino a diventare il modello di riferimento per l’architettura autostradale successiva. Ed ecco che nel ’67 fu costruito l’”L’Autogrill Pavesi più ardito del mondo”.
È così che le pubblicità Pavesi definivano l’Autogrill di Montepulciano: l’Autogrill più ardito di tutti e, tra tutti, il mio preferito. Il blocco principale dell’edificio era ricoperto da una sovrastruttura asimmetrica che rivela il gusto un po’ futuristico di Bianchetti. Originariamente l’edificio era rivestito di acciaio corten, un materiale allora impiegato come rivestimento protettivo per le carrozze- merci e nel campo della meccanica, dal sapore fortemente industriale. Per via della peculiarità con cui si ossida, col passare del tempo dava un aspetto vissuto a quel bastione della modernità. Oggi quel rivestimento è stato sostituito ma guardando le foto dell’epoca somigliava un po’ ad un’opera di Rem Koolhaas. Lasciatemelo dire: una figata. Gli Autogrill Pavesi furono i primi luoghi completamente brandizzati nell’Italia degli anni ’50. Fuori campeggiavano le gigantesche insegne Pavesi. Dentro si vendevano unicamente prodotti del marchio.
Gli interni, gli arredamenti, gli accessori delle cucine, le tovaglie e persino i piatti e le posate erano pensati per completare l’esperienza Pavesi in ogni dettaglio. Per qualche anno i pasti del ristorante vennero serviti su piatti decorati decisamente degni di nota: in stile “English-pottery”, in colori sgargianti, riportavano illustrate non scenette bucoliche, bensì la serie di Autogrill a ponte costruiti da Bianchetti in quegli anni.
Oggi li definiremmo “molto pop”. C’è chi ha definito i bizzarri interni degli Autogrill Pavesi come un “collage d’avanguardia”: rivestimenti in legno, tovaglie decorate, cibi preconfezionati e pubblicità sgargianti, camerieri in divisa coi guanti bianchi, vassoi di plastica e portacandele con motivi naturalistici, fiori su ogni tavolo e ceramiche dal gusto popbarocco.
Non potrebbe essere il set fotografico di un numero di Toilet Paper? Non è che Cattelan ha dato una sbirciatina?
Tutte le immagini vengono dall’Archivio Storico Barilla
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